Ci risiamo! Per la gioia di chi indica i disperati del mare come cagione di tutti i nostri guai, abbiamo un nuovo episodio della saga delle tragedie che in dieci anni ha fatto più di settemila vittime. “ll mare è pieno di morti!”: questo fu il primo agghiacciante commento del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, il 3 ottobre di due anni fa al verificarsi dell’ennesima tragedia nel canale di Sicilia.
“È un orrore infinito. Ora basta, cosa dobbiamo ancora aspettare dopo questo?”: aggiungeva poi sconvolta e in lacrime, mentre sul molo assisteva all’arrivo dei pescherecci dei soccorritori carichi di cadaveri. Oggi si può solo constatare che non è cambiato nulla, il mare continua ad essere pieno di morti e si continua a litigare su di chi siano le responsabilità di questa tragedia; quale potrebbe essere il rimedio per porre fine a questa mattanza sembra non lo sappia nessuno a parte le farneticazioni su blocchi navali, blocchi alle partenze e così via.
Per quanto mi riguarda invito un po’ tutti a porre attenzione su alcuni punti fondamentali da cui non si dovrebbe prescindere e su cui è necessario riflettere. La decisione di migrare può essere alimentata da una moltitudine di ragioni; il tasso di crescita della popolazione africana è il più veloce al mondo e, benché il Continente continui a registrare risultati economici epocali, i governi non sembrano capaci di tradurre tali risultati in un miglioramento dei mezzi di sussistenza sostenibili per i più giovani. Le disparità sociali ed economiche, i conflitti e la criminalità nei diversi Paesi di tutto il continente fanno sì che molti africani cerchino nuove opportunità di futuro nelle regioni del Mediterraneo.
Si stima che, nell’80% dei casi, il viaggio venga “facilitato” dai cosiddetti contrabbandieri di migranti e dai gruppi criminali disposti a fornire una serie di servizi tra i quali: il trasporto, la falsificazione dei documenti, la corruzione dei funzionari di frontiera e i servizi di insediamento. I contrabbandieri, nei Paesi di transito, si coordinano con i contrabbandieri dei paesi d’origine, agendo in qualità di guide, scortando individui attraverso il deserto del Sahara e infine dirigendoli verso la costa. Alcune reti di contrabbandieri sono vere e proprie strutture criminali organizzate mentre altre sono malamente collegate tra loro attraverso catene di semplici individui, rendendo difficile l’opera di smantellamento delle reti criminali da parte delle autorità locali.
Tre principali rotte di contrabbando caratterizzano l’immigrazione irregolare verso l’Italia e oltre. La prima è rappresentata dal cosiddetto sentiero occidentale dove i Paesi di origine sono rappresentati dal Mali, il Gambia e il Senegal. Spesso, nel Sahel, il sentiero occidentale incrocia il sentiero centrale, che vede, come paesi d’origine la Nigeria, il Ghana e il Niger. Infine, nel Sudan meridionale, c’è la via orientale, che vede come paesi d’origine la Somalia, l’Eritrea e il Darfur e che tende a tagliare di netto il nord, passando attraverso il Sudan e l’Egitto, per poi raggiungere la costa settentrionale dell’Africa. Tutti questi percorsi convergono nel Maghreb e negli ultimi anni in Libia dalla quale partono le lunghe traversate in mare verso l’Italia. Il viaggio costa in media qualche migliaia di dollari, a seconda della distanza, della difficoltà del percorso, del livello di controllo da parte delle autorità locali lungo il percorso e dalla risposta offerta ai migranti dai Paesi di transito, destinazione e arrivo. Tale processo può richiedere anni per essere completato; molti sono coloro che si fermano nei centri di transito lungo il percorso per lavorare e mettere insieme il denaro necessario ad affrontare la tappa successiva del viaggio. Il risultato è che spesso restano “bloccati” nelle città dislocate lungo il tragitto per la costa.
Oltre ai prezzi esorbitanti, i migranti sopportano situazioni di grande pericolo; molti contrabbandieri fanno promesse irreali sul tipo di vita che potrebbero avere all’estero. I migranti che si affidano ai servizi dei contrabbandieri spessissimo vanno incontro a maltrattamenti e abusi in molti dei luoghi che attraversano durante il tragitto. Nel caso in cui sono catturati o arrestati, possono essere detenuti per mesi e, a meno che abbiano il denaro necessario per acquistare un biglietto di ritorno, hanno scarse speranze di tornare in libertà. Inoltre, quando riescono a raggiungere le coste italiane, devono sopportare lunghe e stremanti procedure di accertamento e affrontare la deportazione nel caso in cui non venga loro riconosciuto lo stato di rifugiati. Capita inoltre che finiscano nella rete del traffico di esseri umani dove la loro vulnerabilità è sfruttata per il commercio sessuale o per debiti di schiavitù.I viaggi della speranza verso le coste del Mediterraneo avvengono a bordo di camion sovraffollati, dove patiscono la fame e la sete ancor prima di arrivare alla costa. Una volta raggiunto il Mediterraneo, vengono stipati in barche dirette in Europa, il più delle volte sprovviste di carburante sufficiente a raggiungere l’Italia. Molto spesso, annegano e, anche quando riescono ad approdare sulle coste italiane, vengono accolti in modo inadeguato.
A seguito dell’aumento esponenziale del numero di immigrati irregolari e della crisi umanitaria che ne è derivata gli Stati membri dell’UE, tra cui l’Italia, lavorano sotto forte pressione per ristrutturare e allineare le politiche e le pratiche comunitarie in materia di immigrazione e di asilo. Gli attuali sforzi per limitare la migrazione sono serviti esclusivamente a spostare le rotte migratorie, costringendo molti rifugiati a intraprendere rotte ben più pericolose per raggiungere l’Europa. La soluzione al problema dell’inadeguata gestione della migrazione di massa non può ridursi al mero controllo di frontiera da parte delle autorità italiane; è necessario che tutti i governi europei e africani collaborino a livello regionale per trovare la giusta soluzione.
L’IOM (l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni) riferisce che molti migranti prendono la decisione di lasciare il Paese d’origine autonomamente, senza neanche informarne le famiglie, con l’intenzione di contattarle solo dopo essere certi del “successo” della loro impresa, diventando così vittime potenziali dello sfruttamento e del reclutamento da parte delle organizzazioni criminali. Gli accordi bilaterali tra i singoli governi europei e gli Stati africani rendono ancor più complesso il processo di allineamento e di armonizzazione delle politiche migratorie a livello regionale. Siccome tali accordi vengono spesso negoziati senza consultare i Paesi limitrofi (sia in Europa che in Africa), si creano delle discrepanze che rischiano di entrare in conflitto con le politiche regionali, più coerenti ed integrate, volte a risolvere la delicata questione della migrazione africana. Inoltre, le politiche migratorie tendono a focalizzarsi sul respingimento dei flussi migratori piuttosto che affrontare il problema della richiesta di servizi da parte dei migranti alle reti di contrabbando, riducendone la sostenibilità e l’efficacia a lungo termine. “Tutta l’Europa ha preferito rafforzare Frontex invece di fornire fondi alla cooperazione internazionale per ristabilire la pace e creare delle condizioni di vita accettabili nei Paesi di origine e di transito di queste persone”: afferma Mussie Zerai. Finché i Paesi di destinazione continueranno a richiedere lavoratori scarsamente qualificati e finché la povertà e la mancanza di opportunità continueranno a esistere nei Paesi d’origine, la gente continuerà a migrare. Questa realtà richiede una risposta coesa e sostenibile che coinvolga sia gli attori africani sia quelli europei. Per fornire ai migranti un’alternativa valida all’offerta di servizi fornita dai contrabbandieri, è necessario identificare le differenze esistenti tra i diversi flussi migratori (richiedenti asilo, migranti vittime del contrabbando e migranti vittime della tratta di esseri umani). Ma anche fare una distinzione tra questi gruppi diventa sempre più difficile visto che quest’ultimi utilizzano spesso le stesse rotte migratorie per raggiungere l’Europa. Gli attori nazionali e internazionali devono riesaminare i criteri adottati per identificare i tipi di migranti, affinché i migranti irregolari, che al momento non rientrano nelle categorie convenzionali per la fornitura di aiuti e forme di sviluppo, non vengano lasciati senza strumenti di assistenza. Stefano Liberti, giornalista e autore di “A sud di Lampedusa”, suggerisce: “In questo senso, esiste un implacabile paradosso: l’Unione Europea fa di tutto per bloccare gli arrivi, ma quando i migranti arrivano le stesse istituzioni si rendono conto del grande aiuto di cui hanno bisogno. Se l’UE istituisse un sistema attraverso cui i migranti possano richiedere asilo attraverso i consolati nei Paesi di transito, o se gli stessi potessero entrare legalmente in questi Paesi, tutte queste morti non si verificherebbero”. Molti attori, sia in Europa sia in Africa, prendono provvedimenti per scoraggiare l’immigrazione clandestina.
L’Europa ha di recente proposto nuove misure per scoraggiare i migranti all’utilizzo dei canali illegali, promuovendo una rete di canali regolari, incluso quello di consentire ai singoli individui di inviare le loro domande di asilo per l’Europa dall’estero. La Tunisia ha iniziato a indagare sui gruppi di contrabbandieri che operano sul suo territorio, istituendo al contempo dei centri di risorse migratorie attraverso le quali i potenziali migranti ricevono informazioni sui loro diritti, sui rischi di frode e sui pericoli associati all’uso della rete di trafficanti e alle conseguenti forme di sfruttamento. Anche l’Italia ha adottato una nuova legge per combattere lo sfruttamento del lavoro dei migranti. Cosa ancora più importante, è necessario uno sforzo concertato per ridurre i fattori di insicurezza e di fragilità nei Paesi d’origine. Per ridurre la crescente crisi umanitaria, la comunità internazionale, in collaborazione con gli organismi regionali, deve fornire delle fonti di sostentamento alternative e sostenibili alle popolazioni più fragili, promuovendo la pace, la stabilità e lo Stato di diritto nei Paesi e nelle regioni più vulnerabili.
L’augurio che possiamo farci e fare a questi nostri sfortunati coinquilini è quello di non dover più parlare di tragedie come quella verificatasi oggi.