Acaya (Le) – Rappresentare la creatività nelle sue infinite espressioni artistiche, stimolare l’innovazione, raccontare le esperienze di designer, maker, artisti, ridisegnare nuovi confini dell’artigianalità, individuare nuovi linguaggi artistici e comunicativi: questi gli obiettivi del progetto Storie di Design, una mostra che sarà possibile visitare presso il Castello di Acaya (Le), dal 22 maggio al 27 giugno. Sarà inaugurata proprio venerdì 22 maggio, alle ore 19, alla presenza, fra gli altri, di Antonio Gabellone, presidente della Provincia di Lecce, e di Fabrizio Vona, Direttore del Polo Museale Puglia – Mibact. L’intero progetto è curato da Alessandra Pizzi.
Saranno esposte quindi opere di artisti pugliesi, che con le loro installazioni mettono in mostra oltre al loro talento anche una parte di se stessi. Tra tutte le Storie di Design che verranno presentate, noi di Paise Miu abbiamo scelto di raccontare quella di Ludovica Polito, artista che viene dal mondo del cinema (ha collaborato con tanti registi, tra cui Edoardo Winspeare, e conosce bene la vita sui set cinematografici), e che nel 2009 ha dato vita a La Plupart, che realizza collezioni tematiche a numero limitato di accessori insoliti ed elementi di design, assemblando oggetti che andrebbero altrimenti buttati, dando quindi loro una “seconda chance”. L’abbiamo incontrata per farle qualche domanda sulla sua esperienza nel progetto Storie di Design e sulla sua storia come artista.
Ci racconti un po’ la storia delle opere che esporrai al Castello di Acaya per “Storie di Design”?
“Sarò a Storie di Design con tre installazioni, accomunate dal tema della comunicazione: si tratta di vere e proprie “icone” che io ho recuperato per dar loro una nuova vita, diversa. Ci sarà un confessionale, ad esempio, simbolo della religione cristiana, che sarà adibito a un uso non consueto, ossia come simbolo di una nuova religione che è la comunicazione virtuale. Per questa installazione ho collaborato con Monica Righi, ceramista. Le altre due installazioni sono un omaggio alle mie radici, quelle cinematografiche: la mia famiglia aveva un cinema a Novoli, che è stato chiuso quando ero molto piccola, e io ho custodito in casa alcuni piccoli resti di ciò che è rimasto di questo cinema come se fossero delle reliquie. Ho deciso quindi di recuperarle proprio per omaggiare questo tema, la comunicazione, associandole alla vita odierna e facendo una vera e propria dichiarazione d’amore al cinema.”
Com’è nata l’esperienza de La Plupart?
“Dopo gli anni degli studi universitari, con esperienze molto belle di vita sul set, avevo bisogno di passare dal semplice scrivere su carta allo sporcarmi le mani. Durante i saldi dell’estate del 2009 ho acquistato un trapano: ero completamente inesperta, ma allo stesso tempo avevo voglia di mettermi in gioco. La mia fissazione era quella di elettrificare tutto, mi piace creare lampade con qualunque oggetto, dalle pentole, ai frullatori, perfino una tromba. Ogni creazione ha una sua storia, una sua identità, e ricrearli per me significa dar loro un “certificato di rinascita”, che viene anche allegato a ogni pezzo e che spiega tutte le fasi tramite cui gli è stata data una “seconda possibilità”.
Qual è stata la prima cosa che hai realizzato?
“È un oggetto obbrobrioso, ma di cui vado molto fiera: ho preso una vecchia casseruola, un pentolone, a cui ho praticato un foro, ci ho inserito un manico di scopa a cui ho attaccato tre tubi da giardinaggio che terminavano con delle lattine di tonno. Tutto ciò per creare una piantana, una lampada che poi è stata completamente ricoperta con le linguette delle lattine. È stato un lavoro duro, che mi ha occupato un mese. Pian piano mi sono evoluta, sono passata dal pennello al compressore, ho imparato a fare i primi impianti elettrici: è stato un percorso molto divertente.”
L’arte e il design sono ambiti che spesso vengono attraversati da un certo scetticismo e da frasi come “non me ne intendo”: qual è il tuo pensiero a riguardo?
“L’arte è qualcosa davanti a cui io stessa mi inchino. Quando si espone qualcosa, è come esporre una parte di sé, svelarsi, tant’è che a volte ci sono cose talmente inspiegabili che basterebbe mettere solo un titolo accanto all’opera e lasciare tutto alla libera interpretazione. Il rischio però è quello di essere fraintesi, quindi è utile dare un input, lasciando tuttavia un significato aperto per chi ha voglia di mettersi a osservare. Il problema forse è proprio questo: con la mia installazione io do allo spettatore l’accesso a ciò che voglio esprimere; in cambio chiedo però la sua attenzione, che spesso manca. A volte non serve “capirne” di determinati argomenti, si tratta solo di osservare, di aver voglia di dedicare del tempo all’osservazione.”
Dove sarà Ludovica Polito fra dieci anni?
“Non so nemmeno dove sarò fra dieci giorni! Però fra dieci anni mi auguro di avere sempre questo entusiasmo. Faccio parte di una generazione che è figlia della crisi: io voglio avere sempre la speranza. Non mi importa quello che viene imposto dalla vita qui, soprattutto al Sud. Può succedere qualunque cosa in qualunque momento, basta aspettarsi il meglio dalla vita.”
Tutte le opere di Ludovica e de La Plupart sono in vendita. Per maggiori informazioni si può consultare il sito web www.lp-laplupart.com, e i canali social, Facebook, Twitter e Instagram, cercando LaPlupArt.