Novoli (Le) – Come ogni anno, in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate, nostro venerabile protettore, mi piace rivivere attraverso approfondite letture e inediti racconti, gli aspetti più antichi della festa, legati alla tradizione e al folklore popolare a cui mi sento profondamente legata, orgogliosa di essere figlia di un paese che ha dato i natali a illustri padri della lingua, della storia, dell’arte e della poesia.
Ed è proprio tra questi,che mi piace ricordare con nostalgica commozione, il poeta Erminio Giulio Caputo che ho avuto l’onore di conoscere qualche anno fa durante uno spettacolo teatrale, grazie ad un amico comune.
Mi raccontò del suo profondo legame con il mio paese, Novoli, perché aveva dato i natali ai suoi avi e amava la Fòcara che, tante volte, aveva visto bruciare da piccolo, accompagnato dalla mamma Lidia (che molto amava). Proprio ai piedi della Fòcara, nacquero le poesie che ad essa si ispirarono. Due in particolare: Fasciddhe e La Roscia, tra le più belle che siano mai state scritte.
E.G.Caputo era un uomo buono, colto, affascinante e raffinato; spesso ci siamo incontrati in teatro perché insieme abbiamo condiviso l’amore per il vernacolo e la poesia dialettale tant’è che qualche anno dopo, decisi di dedicargli uno spettacolo dal titolo “Vernacolo e poesia”, durante il quale declamò alcuni versi delle sue poesie più note che commossero l’intera platea e tra queste, “Faciddhe”.
Ha scritto molte opere in dialetto, recensite da grandi autori della letteratura, da Gino Pisanò a Donato Valli, a Oreste Macrì e proprio come ebbe a dire quest’ultimo,“Il Caputo è considerato un grande poeta salentino,uno dei maggiori del Novecento in lingua e in dialetto”.
Una volta, in una delle tante occasioni, mi disse con grande rammarico: “Amo Novoli, ma Novoli mi ha dimenticato…” e allora … in attesa che anche quest’ anno l’enorme pira bruci nella fredda notte di gennaio, mentre le gigantesche lingue di fuoco si dissolvono in miriadi di faville, vogliamo ricordare un uomo, un poeta, un amico che molto ha amato Novoli, il suo Santo e la sua Fòcara, l’immane rogo che brucia e che purifica.
È una folata di faville liete, amare, ironiche e nostalgiche, è un atto di fede che si compie ogni anno con la devozione di un rito e, nel Fuoco, si identificano le ansie, le paure, le gioie, i dolori e le miserie.
FASCIDDHE
Russiscenu lu cielu ste fasciddhe…
te piacenu,la focara sta spampa,
te sta lucenu l ‘uecchi comu stiddhe,
tieni la facce russa comu n’ampa.
Piccinna le fasciddhe ca sta biti
li coriceddhi te lu fuecu suntu,
l’amore ne li porta tutti uniti,
lu ientu li sparpaja d’ogne puntu.
Te sparte se ne ola quarcheduna,
pare ca nchiana e chiange ddha fasciddha
tremula sula e prestu se cunsuma …
Lu core tou è friddu comu a quiddha,
l’amore nu lu scarfa,nu lu dduma,
se perde intr’allu fumu sta fasciddha.
LA ROSCIA
La focara se mmuccia te cinisa,
anturnu quattru mbriachi su rumasi
e na pora ecchiareddha, la Marisa,
a susu nu scalune de la chiesia.
Comu era beddha quannu era carusa.
Tutti li meju strei de lu paise
nci ni mannane,facia l’amore scusa
quanti n’ha buti de dhi beddhi asi.
La focara dha nnanzi scattariscia,
comu fasciddhe l’anni su bulati …
rimane lu muntune de la roscia
e l’urtima sarmenta ca se bruscia.
Na lacrima ca citta se n’ha scisa
cu lu fazzulittone se la stuscia …