Cavallino (Le) – Accuse, superstizione, processi inquisitori e condanne sullo sfondo di una Spagna flagellata dalla caccia alle streghe. Si chiama «La maledizione di Toledo» il nuovo romanzo del giornalista e scrittore Giuseppe Pascali che venerdì 11 marzo, ore 19.00, sarà presentato nella Galleria del Palazzo Ducale dei Castromediano a Cavallino. Ad aprire l’incontro saranno i saluti del Sindaco di Cavallino Avv. Michele Lombardi e dell’Assessore alla Cultura On. Avv. Gaetano Gorgoni. A presentare il romanzo saranno il professor Carlo Alberto Augieri, docente di Critica letteraria ed Ermeneutica del testo dell’Università del Salento e il professor Alessandro Laporta, direttore emerito della Biblioteca provinciale di Lecce «Bernardini». Ospite della serata sarà il professor Michele Mirabella. Ad arricchire la serata sarà la lettura di pagine scelte del romanzo a cura dell’attrice Carla Guido, con musiche eseguite al flauto dal maestro Gianluca Milanese. Modera il giornalista Danilo Siciliano. Abbiamo incontrato Giuseppe Pascali con cui abbiamo parlato un po’.
Come nasce l’idea de “La maledizione di Toledo”?
«Ogni buon romanzo non nasce dal nulla, da una banale voglia di scrivere a tutti i costi una storia, ma è “figlio“ di qualcosa che scalpita dentro la mente e dentro il cuore di uno scrittore, anche una semplice curiosità di indagine. È stato così per “La maledizione di Toledo”, frutto del desiderio di studiare i processi inquisitori spagnoli, quello di Logroňo in particolare, il più grande che la Spagna ricordi, un desiderio stuzzicato dopo aver lambito questo argomento nello scrivere “Il sigillo del marchese”. Ad ispirarmi è stato un personaggio “satellite” del “Sigillo: Purecina, una “strega” di cui già parlava Sigismondo Castromediano nel suo libro “Caballino”. Un personaggio semplice quanto affascinante».
Prima di questo libro, ne hai scritti due altri di ambientazione storica (il maestro della banda e il sigillo del Marchese), perché hai scelto di dedicarti al romanzo storico?
«La storia è passato, e il passato è intriso di una vena di nostalgia e di romanticismo. Scrivere romanzi storici per me significa entrare “in contatto” con uomini e donne che non esistono più, farli “rivivere” immaginando le loro sembianze, il loro stile, ricostruire ambientazioni di un tempo. Per fare questo è necessaria una lunga e minuziosa ricerca sulle “carte” della storia, e questo è l’aspetto che più mi affascina».
Quanto è importante una documentazione accurata per poter scrivere un romanzo storico?
«Direi che documentarsi è fondamentale. Rispettare la storia, ma soprattutto la forma, è indispensabile, altrimenti si rischia, come diceva Margherite Yoursenar, “di fare un ballo in maschera”. È altrettanto importante sapere scegliere le fonti, confrontarle e capire dove è la verità storica e dove invece si annida il falso e l’artefatto».
Nella “Maledizione di Toledo” ti sei ispirato ad un fatto realmente accaduto, così come è stato nel tuo precedente romanzo “Il sigillo del Marchese”, o hai preso ispirazione solo dal tenebroso periodo storico della caccia alle streghe?
«”Il sigillo” lo definisco “una storia vera con un romanzo intorno”: la vicenda dei marchesi Castromediano, vera, inserita in un ambito narrativo prettamente romanzato. “La maledizione di Toledo” è esattamente speculare: la storia di Isabel, di pura fantasia, inserita nel contesto storico della ”caccia alle streghe” e in particolare nel processo inquisitorio di Logroňo, che è storia allo stato puro. I nomi degli inquisiti riportati nel romanzo sono reali, così come lo sono le accuse mosse nei loro confronti. Lo stesso processo narrato è ricostruito seguendo gli atti ufficiali. Isabel e il cardinale Medina sono dunque l’alter ego rispettivamente delle centinaia di donne perseguitate e della superstizione degli inquisitori».
Secondo te, quanto deve esserci di reale in un romanzo storico? Quanto è difficile stabilire il giusto equilibrio tra realtà e finzione letteraria?
«Quando si parla di romanzo storico non si può non fare riferimento ad Alessandro Manzoni, il quale diceva che il romanzo deve avere “il vero per oggetto, l’utile per iscopo, l’interessante per mezzo”. Io cerco sempre di raggiungere un compromesso tra storia e fantasia: troppa storia potrebbe non divertire il lettore, la fantasia sfrenata rischierebbe di allontanarlo dal vero storico. Un compito affatto facile».
Nel 1600 andare contro corrente voleva dire essere insolito e pericoloso. Oggi è più facile essere diversi? Fa ancora paura chi non si uniforma agli altri?
«Ogni epoca ha vissuto il “diverso” in maniera differente. Un tempo il “diverso” finiva bruciato, oggi rivendica liberamente i propri diritti sulle piazze, e già questo è emblema di libertà raggiunta. Il problema è quello che piuttosto oggi si cerca di far apparire tutto troppo uniforme».
Negli ultimi giorni il panorama letterario italiano ha perso un grande scrittore, Umberto Eco, che può essere considerato un vero e proprio pilastro della letteratura. Quanto i suoi scritti l’hanno influenzata nella sua opera di scrittore?
«Umberto Eco, per chi oggi scrive romanzi storici, è un punto di riferimento imprescindibile. Impossibile scrivere romanzi di ambientazione storica senza aver letto Eco. I suoi romanzi hanno accompagnato da sempre le mie letture e i suoi aforismi più noti hanno finito per essere il mio motto: “I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare” e “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni»
Cosa pensi dell’attuale situazione editoriale italiana?
«Sino a qualche tempo fa, nelle librerie non c’era la confusione che c’è adesso. Oggi trovare un buon libro è davvero difficile e di questa confusione credo sia responsabile anche la cultura di massa creata da una società-spettacolo».