Che fonte inesauribile di piacere sono i libri per me! […] Credo che potrei vivere qui beatamente, leggendo in eterno. (Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, 1953)
Il frate matematico Luca Pacioli, nel De Divina Proportione (1497) scrive: «Opera a tutti glingegni perspicaci e curiosi necessaria. Ove ciascun studioso di philosophia, Prospectiva, Pictura, Scultura: Architectura, Musica e altre Mathematice: suavissima: sottile: e admirabile doctrina consequira: e delectarassi: co’ varie questione de secretissima scientia».
In tale trattato si vuole far “dialogare”, attraverso i concetti universali della cultura, le arti, come similmente accade nel volume oggetto di questo scritto.
Un esempio molto interessante è il mottetto isoritmico Nuper Rosarum Flores di Guillaume Dufay (1436), composizione basata su un preciso progetto aritmetico con varie connessioni alle proporzioni architettoniche della cupola brunelleschiana della Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze. Poi nel Novecento va ricordato, oltre a quel capolavoro di architettura sonora de Le Sacre du Printemps di Igor Stravinsky, una personalità originale come il compositore, architetto e ingegnere Iannis Xenakis il quale, a partire da Metastaseis, con le sue implicazioni matematiche, cercherà di sviluppare rapporti e relazioni significative tra la composizione musicale e l’architettura.
Ad aiutare, soprattutto chi non è addentro a queste tematiche, nell’approccio a tali rapporti, ci ha pensato Enrico Costa, architetto e professore ordinario di Urbanistica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, attraverso un accattivante volume pubblicato nel 2016 da CITTÀ DEL SOLE Edizioni- Reggio Calabria, che da oltre quarant’anni si dedica alla saggistica.
Non si tratta di un libro per addetti ai lavori, ma per coloro che vogliono assistere ad uno spettacolo fantastico su un grandissimo palcoscenico tra Napoli e Algeri e che vede protagonisti due personaggi rossiniani: Selim (da Il Turco in Italia) e Isabella (da L’Italiana in Algeri) che costituiscono, a loro volta, il titolo di questo “dittico mediterraneo”, come coniato dallo stesso Costa.
Concepito come qualcosa di simile ad un romanzo in forma scenica, ma anche ad un dramma buffo, fino a toccare alcune forme di cinema, è definito dall’ autore un centone ove convergono contaminazioni culturali, letterarie, intrecci amorosi, generi musicali diversi, cibi succulenti, oltre a luoghi come isole che emergono e spariscono nel Mediterraneo, harem, paesaggi incantevoli, metafore di ogni genere, e non mancano, in alcuni momenti, equivoci, scambi di personaggi e travestimenti, oltre a percezioni sensoriali sinestetiche da Mille e una notte. Quasi un vestito rattoppato da molti pezzi (come suggerisce la stessa derivazione latina di «cento», il volume è da considerarsi in questo “filone” derivante dai centoni omerici e presente anche nella rossiniana Eduardo e Cristina (Teatro San Benedetto di Venezia il 24 aprile 1819), adattato dal libretto Odoardo e Cristina di Giovanni Schmidt (1810) con sue stesse musiche provenienti da altre sue opere.
Entrando in medias res Costa tratta due storie parallele, dal tono fiabesco, che hanno inizio con due partenze in nave: da Algeri per l’Italia e da Napoli per la Turchia.
Pur essendo storie parallele che si possono incontrare tranne che nell’infinito, diversamente dalla vita reale dove, non essendo infinita, non può realizzarsi, attraverso l’invenzione narrativa càpita che la vicenda della bella, intelligente e affascinante Isabella si intrecci con quella del principe Selim (autentico Tombeur du femme).
Infatti nel capitolo IV del volume, esattamente sull’Isola delle Stelle, (20 luglio 1814) entrambi i personaggi, insieme ai propri compagni, si incontrano: «lui [Selim insieme all’amata Zaida] insinuante e lei [Isabella insieme al suo Lindoro] tagliente, furono subito presi l’uno dall’altra dimenticando per un lunghissimo istante di non essere soli. Fu un attimo soltanto, quasi eterno per loro due».
In tale circostanza risulta molto significativo il dialogo tra Prosdocimo (poeta e, in molti casi, deus ex machina di avventure complesse) e il giovane Ottavio (il quale sogna di diventare architetto) per trattare il rapporto architettura – musica.
Tutto nasce dall’invenzione, sul flauto di Pan, di una musica da parte di Ottavio mentre osserva un disegno di un rilievo dell’isola.
Prosdocimo intuisce ciò che sta accadendo e replica subito: «tu stai eseguendo quelle linee grafiche come fossero le note sul pentagramma di uno spartito?» Avuta conferma di ciò, il poeta, meravigliato delle capacità musicali di Ottavio, pensa che oltre all’architettura voglia dedicarsi anche alla musica.
Il giovane confessa che il suo intento è quello di armonizzare l’architettura con il paesaggio e per far ciò deve contare sulla musica.
Segue l’osservazione del poeta nel sottolineare che «l’equilibrio della natura si basa sulle proporzioni, come la musica e l’architettura» quasi a ricordare il De Divina Proportione. Continuando, Ottavio riferisce al poeta che tra le due discipline è sempre esistito un rapporto indissolubile e “alto” in quanto: «Secondo alcuni fare architettura significa organizzare lo spazio, e secondo altri fare musica vuol dire organizzare i suoni». Sorvolando su altre questioni tecniche Ottavio sottolinea che sia l’atteggiamento del musicista che dell’architetto sono simili nel ricorrere all’armonia al fine di «generare emozioni percepibili da chiunque. Qualunque sia la lingua parlata», proseguendo e arricchendo così la sua spiegazione: «Pensa ai segni musicali e architettonici sulla carta, da musica o da disegno, che possono essere compresi dagli esecutori, direttore d’orchestra e suonatori o capocantiere e operai, prescindendo da lingue e nazionalità. Abbattendo le barriere linguistiche, e creando linguaggi architettonici e musicali!». Così è facile, continua il giovane, immaginare che se la progettazione riguarda le città si parla di composizione urbanistica così come di fuga di colonne o di archi, similmente al compositore come nell’esempio più alto con L’arte della fuga (Die Kunst der Fuge) BWV 1080 di Bach, autentica summa dell’arte del contrappunto. Costa, attraverso il giovane Ottavio, cita anche la Toccata e fuga (probabilmente quella in re minore, BWV 565) per accennare all’organo, definito «strumento musicale con una precisa struttura architettonica» e chiarendo ulteriormente che corrisponde ad una «specie di flauto di Pan […] con tantissime canne di metallo o di legno, ma gigantesche». La spiegazione di Ottavio si orienta poi verso il ritmo, messo in relazione con la danza, spostandosi al ritmo architettonico, come nella facciata di un palazzo con la successione delle finestre, ecc. Entrambi i personaggi si riferiscono all’armonia con queste parole di Ottavio: «se l’insieme è armonico, architettura e musica fanno sgorgare, ognuna a suo modo, melodie tanto struggenti quanto emozionanti». Sempre più deciso, il giovane scende ancora in dettagli per sottolineare i rapporti tra le due discipline, avvalendosi come ulteriore esempio della facciata del Palazzo Farnese di Roma senza trascurare dettagli dell’intero palazzo, vero tesoro del Rinascimento.
Pensando agli artisti che hanno contribuito a realizzarlo (a partire da Antonio da San Gallo), oltre ad essere stato il palazzo di papa Paolo III, rappresenta un luogo ricco di storia e di bellezza. Basti ricordare gli affreschi presenti nella galleria con le opere maggiori di Annibale Carracci, tanto da far scrivere a Giovanni Pietro Bellori: «Ben noi in sì bel luogo invochiamo le Muse, per riportar degnamente con le parole la muta poesia delle favole esposte nella Galeria, nella quale entriamo». Charles Burney, nel suo Viaggio musicale in Italia (1770), aveva annotato lo splendore della galleria evidenziando anche alcune figure mitologiche con uno strumento come Polifemo che suona il flauto di Pan per Galatea ed Ercole che suona un piccolo tamburo per Jole. Che dire poi della scena centrale con il Trionfo di Bacco e Arianna, reminiscenza del più noto dei canti carnascialeschi di Lorenzo De Medici? Si potrebbe parlare di un palazzo musicale, tanto che non sfuggirà nemmeno a Puccini come ambientazione per il II atto di Tosca. Ritornando alla facciata, Costa, alias Ottavio, riguardo alle relazioni tra architettura e musica chiede al poeta cosa pensi sulla disposizione delle finestre in fila ricevendo una risposta giusta dal giovane con riferimenti al pentagramma e allo spartito musicale, quasi un ideale collegamento all’analisi del tetto della capanna nella Natività di Piero della Francesca, studio condotto da Pierpaolo Tofanelli. Ritornando al Palazzo e soffermandosi su «gli elementi orizzontali della facciata [quattro] incorniciata da cantonali in travertino – basamento, due file di finestre e cornicione –, ne movimentano l’architettura», Ottavio mette tutto in relazione con la Sinfonia n. 40 in Sol minore K 550 di W. Amadeus Mozart (Vienna, 25 Luglio 1788) attribuendo ad ogni movimento la stessa corrispondenza con i 4 elementi architettonici (i piani dell’edificio compreso il cornicione) che insieme costituiscono un capolavoro architettonico – musicale.
Se il primo piano caratterizzato dal colore più scuro corrisponde al I movimento (Molto allegro) nella tonalità di sol minore, che già dal brusio delle viole introduce ad un tono oscuro e inquieto, il secondo piano «solenne come si addice al piano di rappresentanza del palazzo di un Pontefice» trova corrispondenza nello stesso II movimento (Andante) nella tonalità maggiore di Mi bemolle maggiore, dal gusto galante.
Segue il terzo piano «Meno solenne dell’Andante precedente, più svelto, “più privato”» che corrisponde al III movimento (Minuetto e Trio, Allegretto) dove la fantasia del Poeta arriva a «quasi di vedere quelle finestre [del palazzo] che danzano su quel minuetto».
Dulcis in fundo il IV movimento (Allegro assai) con ripresa del I tema, ovvero quello che identifica con «l’attacco a terra dell’edificio, quasi a sottolineare la simmetria con il suo coronamento. Lo sviluppo lineare del cornicione accompagna la lettura di questo quarto movimento architettonico». Inoltre aggiunge che la lunga fascia in pietra, sormontante il palazzo e ricca di fregi, sembra un insieme di “abbellimenti” in musica. Alla lunga metafora di questa simbiosi artistica si aggiunge anche La musica per i reali fuochi d’artificio (Royal Fireworks Music) HWV 351 di Händel per alcune occasioni per le quali si potevano aggiungere i fuochi sparati dai giardini retrostanti, con il risultato di visioni ed effetti fantasmagorici.
Il racconto si conclude con l’intervento di Prosdocimo che ammette di aver compreso che tra le due arti «c’è un rapporto stretto e creativo, come di una che rincorre l’altra, e della seconda che s’incrocia con la prima». Ottavio aggiunge che entrambe «vivono nel tempo e nello spazio» e ancora: «mentre la musica narra in concerto paesaggi, case, città e territori, l’architettura s’avvale della musica per progettarli e realizzarli». Rimane da affrontare ancora il tema dei rapporti con la matematica «fra i presupposti della composizione musicale, e della composizione architettonica e urbanistica» ma i due decidono per un’altra volta, quasi a voler dire che già accennando al concetto di numerus con la musica di Bach hanno indicato, in qualche modo, la strada.
Nella struttura del volume Bach è dietro le quinte, mentre il racconto delle due storie parallele che iniziano dalla fine per poi ricominciare da capo con continui intrecci (ma anche per la stessa «nota conclusiva ma avrebbe potuto essere introduttiva» dopo il l’ultimo capitolo), altro non è che una trasposizione concettuale del canone a 2 voci cancrizans (dal latino cancer) tratto dall’Offerta musicale (Musicalisches Opfer) BWV 1079, quasi eco del Ma fin est mon commencement di Guillame de Machault, altro splendido esempio di scrittura matematica e geometrica.
Il volume di Costa è qualcosa che per l’inventio può spiegarsi anche attraverso l’ossimoro che sottende all’Estro Armonico di Vivaldi e quindi nell’alveo della Maraviglia barocca. Ma ci sono anche altri riferimenti e allusioni alla musica, compreso il melodramma e la canzone napoletana.
Libro senza tempo e adatto a qualsiasi lettore previa raccomandazione di predisporsi a nuovi saperi perché attinge a quei concetti universali (“valori”) presenti nelle diverse culture, come in tutte le sfaccettature della vita e nelle stesse arti. Costa, infine, ha anche il merito, attraverso il suo affascinante modo di scrivere, di riuscire a sciogliere un «nodo avviluppato», avvicinandolo ancora di più alla musica del genio rossiniano.