Quando si pensa alla sinistra si hanno dinanzi agli occhi, probabilmente, le immagini delle lotte progressiste del Novecento. Nel nuovo Millennio, però, qualcosa è cambiato e forse più di qualcosa. Che cosa non è più lo stesso? E’ stata la sinistra ad arretrare sui suoi temi tradizionali, per occupare spazi diversi dal passato? Oppure i suoi avversari hanno guadagnato terreno nella società per una superiorità valoriale?
Una menzione dei valori di sinistra va necessariamente fatta. La solidarietà e la giustizia sociale, l’egualitarismo ed il laicismo, la difesa dei più deboli e la redistribuzione della ricchezza, l’autodeterminazione del singolo nella cooperazione del collettivo in un mondo privo di frontiere e che si sviluppi in maniera orizzontale, sono questi alcuni dei più importanti principi dell’uomo di sinistra.
In Italia, alla sinistra, a prescindere da come la si pensi, si deve la conquista di diritti in difesa dell’essere umano, e nella fattispecie del lavoratore e del cittadino. Facendo un richiamo a quelle conquiste progressiste, si ricordano, per esempio, la legge a favore di un trattamento più dignitoso nei confronti dei malati di mente (Legge Basaglia, 1978), l’emanazione dello statuto dei lavoratori con il suo famoso articolo 18 – a tutela dei licenziamenti illegittimi (Legge 300/ 1970) – o quelle su divorzio e interruzione volontaria di gravidanza. Una legislazione che ha dato vita in maniera importante alla società di oggi.
Ma dopo la fine del Partito Comunista Italiano, con la svolta della Bolognina nel 1989 e la vittoria del riformismo liberale tra i compagni, lo sguardo, gli obbiettivi e le lotte della sinistra verso chi o cosa si sono rivolte? I maggiori partiti che la compongono hanno continuato a difendere le classi meno abbienti nel mondo neocapitalista e postindustriale? Oppure hanno preferito muoversi nel solco degli interessi particolari e di stampo conservatore?
Senza parlare strettamente di politica, le visioni sociali e quelle economiche della sinistra del nuovo millennio hanno sicuramente preso direzioni diverse dal passato. Si noti, però, che a trainare questa deriva sono state le maggiori formazioni che hanno occupato gli scranni del fu Pci. Se il più grande partito comunista d’Europa si occupava di istruzione in senso progressista -per liberare dal giogo sociale delle condizioni di partenza e apriva le sue sezioni nelle periferie, così come presenziava i luoghi dello sfruttamento e del disagio- le formazioni del nuovismo di sinistra hanno invece preferito sedere nei salotti luccicanti, per le loro sacche di voti ed il loro potere. Se la “vecchia” sinistra avanzava idee e riforme per rendere tutti più uguali e lo Stato capace di governare i mezzi di produzione e la ricchezza economica, la pseudo-sinistra degli anni duemila ha abbracciato in pieno il programma liberale.
Proprio come in natura, se uno spazio viene abbandonato e lasciato vuoto, qualcuno o qualcosa lo occuperà. Anche nella politica e nella sinistra è accaduto questo. Praticamente un travaso, con la sinistra “di governo” spostatasi sempre più a destra, nelle politiche sociali ed economiche, accompagnate da un finto “dirittismo” per dare la parvenza di proseguire la strada novecentesca. Da qui, non solo la destra – anche estrema – ha fatto sue le politiche di difesa del lavoratore e del cittadino, ma forze diverse sono venute fuori. Negli anni, infatti, hanno preso piede le forze cosiddette populiste: formazioni che idealmente rispondo ai bisogni più immediati dei cittadini. Il modus operandi di questi gruppi non si discosta dal passato: creare il nemico, presentarlo come l’unico responsabile di ogni malefatta e alimentare la “guerra” dei cittadini contro l’estraneo, legittimando ogni forma di opposizione all’essere umano.
Il ritorno della sinistra sarebbe però auspicabile. Il ritorno ad una visione egualitaria e solidaristica della società, perché l’individualismo è in una fase orami dannosa per il cittadino comune e per la società. Ci vuole un freno insomma al percorso che da almeno 30 anni ha intrapreso l’Italia – e non solo l’Italia – nel quale non solo le differenze socio-economiche si sono allargate e la ricchezza sempre più concentrata nelle mani di meno uomini, ma la qualità di vita ha invertito il suo segno rispetto al passato. Sono i dati micro e macro-economici a rivelarlo, sebbene basterebbe dare uno sguardo più attento nelle nostre città per notarlo. La sinistra dovrebbe così riprendere le sue posizioni, ritornare a difendere la classe di riferimento, ovvero quella dei subalterni, per ridare respiro a tutta la politica ed il vivere sociale.