Somigliano in tutto e per tutto a un bambino vero, ma sono bambole. Occhi grandi che ti scrutano e un corpo morbido da tenere in braccio e coccolare. Si chiamano Reborn Dolls. E non ci sarebbe proprio niente di male, in fondo, a acquistarne una, non fosse che le cronache narrano di migliaia di donne al mondo che finiscono per trattarle come fossero bambini veri. Le portano al parco giochi, cambiano loro i pannolini, fanno loro il bagnetto e sui social si scambiano opinioni e consigli su come prendersi cura dei loro ‘figlioletti’. Bambole di gomma che prendono il posto di neonati e mamme convinte di crescere figli in carne ossa. Roba da far accapponare la pelle. Il fenomeno, neanche a dirlo, è di origine statunitense e risale agli anni ‘90, ma attualmente è in crescita anche in Italia dove su Facebook fioccano gruppi segreti e pagine fan dedicate.
Nate originariamente per soddisfare le esigenze dei collezionisti, le bambole Reborn sono pezzi unici realizzati da artigiani interamente a mano. Un singolo pezzo può costare da un minimo di 500 fino a un massimo di 20 mila euro. Al tatto risultano morbide e di frequente hanno i capelli veri. A volte si posizionano dei magneti all’interno della bocca per far si che trattengano ciucci e biberon. Un business che vale milioni di euro e che vanta un mercato fiorente su Ebay oltre a numerose fiere di settore in tutto il mondo.
Nei mesi scorsi la Reborn mania è stata oggetto di studio da parte di 4 ricercatrici salentine che hanno somministrato un questionario a un campione circa 700 persone di varie estrazioni sociali e di età diverse – dai 15 ai 28 anni – al fine di misurare l’entità di questo fenomeno qui da noi.
Si tratta di Giorgia de Lapis, ideatrice del progetto e youtuber, Caterina Scarciglia, psicologa e psicoterapeuta, Cristina Pipoli, educatrice e blogger, Lucia Ianne, psicologa e psicoterapeuta. I risultati presentati pochi giorni fa a Lecce sono stati sorprendenti.
Stando alla ricerca, il 90,9% del campione esaminato conosce le bambole Reborn, segno inequivocabile che oramai nel nostro paese questo mercato è in piena espansione, tant’è che il 59,1% degli intervistati ne vorrebbe prendere una in braccio e il 41,3% di loro sarebbe disposto a comprare al proprio figlio una di queste bambole. La cosa che salta agli occhi è che il 70% degli stessi pensa che non sia emotivamente dannoso possederne una e il 46,2% si aspetta di provare sensazioni positive nel tenerli in braccio, mentre un buon 66,3% ritiene che queste bambole possano anche avere un utilizzo sociale e terapeutico.
E, in effetti, studi recenti hanno dimostrato che la ‘terapia della bambola’ ha benefici evidenti sui malati di Alzheimer che la utilizzano come oggetto attraverso cui possono ricreare una relazione con altri soggetti, riversando così parte del naturale desiderio di accudimento e scambio affettivo sul giocattolo che diventa così un essere vivente dotato di esigenze concrete, ma soprattutto emotive. Le bambole Reborn possono infatti trovare impiego nella cura di malattie neurologiche gravi, in quanto sono in grado di sviluppare nei pazienti pensieri di dolcezza, di gioia e di empatia che potrebbero contrastare, in parte, il progredire della malattia, riducendo gli stati depressivi e migliorando la memoria procedurale. Ma la terapia è anche, a quanto pare, un toccasana per le persone diversamente abili, alle quali consente il rilascio della rabbia. La terapia difatti riduce gli accessi di ira e gli stati d’ansia. Concentrare l’attenzione sulla bambola e avere nei suoi confronti degli atteggiamenti di dolcezza e affetto aiuta il malato a rilassarsi e hanno ripercussioni positive anche sull’alternanza sonno-veglia, limitando l’insonnia.
“Il progetto reborn therapy e disabilità, rivolto a 20 persone con disabilità lievi di età compresa tra i 20 e i 40 anni” ha detto Cristina Pipoli “ha visto infatti con successo l’uso di questa bambola come mezzo per la riabilitazione e per accompagnare queste persone verso l’inclusione sociale ”.
Ma questi “bimbi speciali”possono anche risultare un prezioso ausilio per i vissuti di perdita, lutto, solitudine e abbandono e, come ha sottolineato, Caterina Scarciglia ”Il loro uso può essere connesso con la perdita di un figlio, il desiderio incompiuto di maternità, ma anche la riproduzione di un figlio cresciuto che si desidera trattenere a vita in forma di neonato”.
E allora qual è il problema?
Il problema sta nel rischio concreto, come testimoniano i 400 mila video postati su Youtube che hanno come protagonisti queste bambole dalle sembianze umane, che ci siano persone che perdano del tutto il contatto con la realtà, fino a arrivare a credere che un oggetto di gomma, sia una persona vera e, quel che è peggio, cercare di convincere gli altri che le cose stiano davvero così. Affezionarsi a un oggetto non è di per sé indice di un disturbo mentale, è ovvio – quanti di noi sono ancora legati al peluche col quale dormivano da piccoli!– ma attenzione a non trasformare una passione in una fissazione.