Da quando si è scatenata la crisi economico-finanziaria nel 2008, non passa giorno che non si senta nominare l’acronimo BCE, ovvero che non si senta discutere circa la Banca Centrale Europea e del suo Presidente Mario Draghi. L’istituzione della BCE risale al 1998, in base al Trattato sull’Unione Europea, divenuta operativa in vista dell’introduzione della moneta unica. La funzione dell’Istituto è, invece, quella di tenere sotto controllo i prezzi e, di conseguenza, il potere d’acquisto della moneta. Al momento dell’accordo sulla cessazione di sovranità monetaria delle banche statali, i fondatori hanno fissato il limite dell’inflazione (o aumento dei prezzi) intorno al 2%.
Tenere fisso il tasso di inflazione al 2% significa anche, in pratica, mantenere stabili i tassi d’interesse, ovvero non far oscillare il costo della moneta. Prima dell’istituzione della BCE e, quindi, prima che gli Stati dell’eurozona cedessero la loro sovranità monetaria, invece, ogni governo poteva liberamente decidere di stampare moneta, facendo così calare il suo valore ed aumentando però il costo dei beni.
Ma l’esistenza e le funzioni della BCE creano vantaggi o svantaggi agli Stati ed ai loro cittadini? Il ruolo della Banca centrale europea è utile alla crescita delle economie, oppure la sua indipendenza la allontana dagli obbiettivi primari?
E’ necessario sottolineare a questo punto che la Banca Centrale Europea non è una banca centrale propriamente detta. Cosa vuol dire? La BCE non può stampare moneta e, così, mettere in circolo più soldi, proprio perché questo porterebbe ad un maggiore tasso di inflazione. Nella crisi si è invece verificato l’esatto contrario dell’aumento dei prezzi, ovvero la deflazione o contrazione dei prezzi. Il Presidente Draghi non potrebbe nemmeno acquistare titoli del tesoro statale dei paesi dell’eurozona. Con il quantitative easing però, la BCE ha fatto proprio questo: ha incamerato nelle casse europee pezzi di debito pubblico degli stati, soprattutto di quelli con un deficit così elevato da destabilizzare politicamente l’intero paese e l’intera eurozona. L’Italia è, ovviamente, tra gli stati “salvati” da questa attività finanziaria della Banca centrale.
L’azione della Bce è stata, sostanzialmente, quella di riequilibrare le condizioni economiche o evitare che la ricchezza dei paesi in difficoltà perdesse il suo valore. Si parla, appunto, di ricchezza e denaro, o investimenti. Ma nel nostro sistema economico capitalista, la ricchezza tende a muoversi verso quei territori in cui la produttività è più alta, nulla di democratico e nulla sul quale la BCE possa operare. Infatti, i maggiori tassi di crescita europei si rilevano in stati come la Germania, nel nord Europa, o nella stessa Italia settentrionale, proprio perché le condizioni infrastrutturali ed industriali restituiscono un’alta produttività. L’altra faccia della medaglia è, di conseguenza, l’impoverimento ed il sempre più alto tasso di disoccupazione in quelle regioni in cui il settore pubblico e quello privato investono male o per niente. Cosa accade dunque? Un vero e proprio travaso di denaro da quelle regioni europee con bassi tassi di produttività, minore disponibilità economica ed alti tassi di disoccupazione verso quelle più ricche, in grado di soddisfare il fabbisogno dei primi.
Per noi del Sud, dunque, la stabilità della moneta conviene? Qualcuno ha da spiegare diversamente perché il divario Nord-Sud dall’entrata dell’Euro è diventato enorme?