Di nobili origini sassaresi Diego Cugia diviene giornalista professionista nel 1974 collaborando con il giornale “Il Globo”. Nel 1977 inizia a lavorare per Radiorai. Raggiunge la notorietà grazie alla trasmissione radiofonica su Radio 2, Alcatraz (in onda dall’ottobre 1999 al maggio 2002, divenuta poi trasmissione televisiva) e al personaggio di Jack Folla.. Sua, inoltre, è l’invenzione del radiofilm, un nuovo formato di fiction radiofonica, d’impronta cinematografica. I suoi radio film in 60 puntate “Il Mercante di Fiori” e “Domino”, per Radio 2, sono seguiti al mattino da oltre 1.000.000 di ascoltatori.
Nel marzo del 2001 pubblica con Bompiani il suo primo romanzo dal titolo “No“. A maggio dello stesso anno viene scelto da Claudia Mori come autore dello show televisivo Francamente me ne infischio che ha come protagonista il cantante Adriano Celentano. Da febbraio 2002 inizia a scrivere per “l’Unità”. Nel giugno del 2003 viene eletto consigliere di amministrazione della SIAE(carica ricoperta fino a giugno 2007). Un anno dopo pubblica per Mondadori “L’Incosciente“, uno dei suoi romanzi di maggior successo. Nel 2005 Adriano Celentano lo richiama come co-autore di Rockpolitik . Nel 2006 Cugia ritorna in radio e trasmette su Radio24 “Zombie”, ma dopo solo 35 puntate la trasmissione viene sospesa. In seguito alle proteste di migliaia di ascoltatori il programma riprende regolarmente la messa in onda. Nel 2015 la Mondadori pubblica il suo romanzo dal titolo “Nessuno può sfrattarci dalle stelle“. Nel 2016 Cugia decide, per la prima volta, di pubblicarsi da solo, su Amazon. Il suo diario di un italiano fuoriposto, s’intitola “Un’anima a 7 euro e 99“. A settembre 2018, sempre come editore di sé stesso, pubblica “Jack Folla: Il Libro Nero”, esattamente 20 anni dopo l’esordio in radio di Jack Folla.
Parliamo del tuo libro: Jack Folla il libro Nero. Quanto Jack è un personaggio di fantasia?
Jack esiste, io lo conosco, è un fratello, stiamo sempre insieme. Mi ha telefonato poco fa, ha visto i nuovi episodi di “House of Cards”, mi ha detto che gli mancava il Presidente Usa, interpretato da Kevin Spacey. Secondo Jack l’arte non va confusa con la magistratura. Caravaggio pare fosse un assassino. Per coerenza dovremmo bruciare tutte le sue opere? Questo per dirti che Jack è più vero di noi due. Che non ci conosciamo. Paradossalmente tu e io siamo più personaggi di fantasia che Jack Folla.
Jack ha il dono di saper leggere nell’animo della gente e il suo linguaggio semplice e schietto arriva dritto al cuore chi lo ascolta. E’ questo un auspicio ad una maggiore empatia e ascolto, in un mondo sempre più sordo ed individualista?
Sai, bisogna vedere come ci arrivi al cuore della gente. Anche i grandi manipolatori politici di oggi centrano il bersaglio con un linguaggio semplice e diretto. Schietto, un po’ meno. Ma loro dicono parole che la gente vuole sentirsi dire, che sono tutte brave persone e i cattivi sono sempre gli altri. Jack Folla fa l’esatto contrario: ti irrita il cuore, ti sobilla interiormente, ti dice che il nemico di te stesso sei tu. Perché cerca di farti ritrovare la tua coscienza di uomo libero, puro e ribelle. Quelli che amano davvero Jack sono pochi. Sono pochi quelli che accettano di “disubbidirsi”, di non seguire i propri istinti più bassi, di partire alla ricerca dei veri se stessi, di evolvere. Si paga un prezzo altissimo per essere liberi.
Nel libro, attraverso il personaggio principale c’è un attacco al conformismo e al perbenismo. Quanto c’è di tuo in Jack?
Diciamo che la pensiamo nello stesso modo, ma che lui osa più di me. Dove io vorrei andare lui c’è già arrivato. D’altronde io non sono mai stato nel braccio della morte di un carcere, accusato ingiustamente. Lui sì, per dieci anni. C’è chi da un’esperienza così esce traumatizzato e col cervello ridotto a un sassolino. Lui della debolezza ha fatto una forza. E ora si può permettere di travolgere noi e i nostri pensieri comodi, mediocri, rassicuranti. Bisogna saper bruciare le proprie opinioni più radicate, ecco quello che imparo da Jack. Giocare a palla con il proprio cervello, come cantava Fabrizio De Andrè.
Il tessuto narrativo è molto interessante e con le diverse argomentazioni invoglia alla riflessione, alla libertà, ma la vera libertà a suo parere cos’è?
Liberarsi dei propri cagnacci interiori che teniamo nell’ombra di noi stessi, alla catena. Fare esattamente il contrario di quello che oggi ci consentono di fare i politici per qualche voto in più. Che quei cagnacci li lanciano contro i deboli, gli oppressi, i disperati della terra. Non sono loro i nostri nemici, siamo noi stessi quando aggrediamo il mondo con la scusa di “difenderci”. Ma difendere cosa? Che abbiamo perso tutti i valori più belli? Pensiamo invece a ripiantare il nostro orto interiore, a far crescere qualche bel fiore dai nostri pensieri. Tutto quello che ci affanniamo a difendere è vecchio e sa di morte. Viviamo in giardinetti di cemento armato.
Nel tuo romanzo: “Tango alla fine del mondo” citi un aforisma di Francisco Urondo: “Un giorno sarà un tempo più giusto, foderato di lamè, con il mantello del tango. Un tempo senza oblio”. Che rapporto ha lei con lo scorrere del tempo?
Il mio rapporto con il tempo? Lo prendo a prestito da René Char, un poeta francese, che in una sua poesia dice: Affrettati a trasmettere la tua parte di meraviglioso, di ribellione…e poi disperditi con la polvere. Nessuno saprà mai la vostra unione”