“Musica, chiave d’argento che apri la fontana delle lacrime, ove lo spirito beve finché la mente si smarrisce; soavissima tomba di mille timori, ove la loro madre, l’inquietudine, simile ad un fanciullo che dorma, giace sopita ne’ fiori.” [Percy B.Shelley 1792-1822]
Abbiamo visto come la musica moderna sia intonata su una sola nota. È una nota di riferimento su cui poi si accordano tutte le altre note, ovvero i suoni della scala. Questa nota è il LA che viene accordato col diapason (o corista), un La che ha la frequenza di 440 Hz. Pur non essendo a nostro avviso l’accordatura più corretta, ovvero quella a 432 Hz, essa è nondimeno la frequenza di riferimento per tutti gli strumenti musicali. Ciò detto, diamo “un’occhiata” ravvicinata al diapason e alla sua storia, in primo luogo.
I greci utilizzavano il termine “diapason” per indicare quella che oggi è detta ottava, ovvero l’intervallo compreso tra una nota e un’altra di frequenza doppia, un intervallo che contiene otto note, dunque. L’etimologia del termine deriva dal greco diá pasôn che significa attraverso tutte le note.
Da questo significato deriva anche l’uso che se ne fa per indicare la metà della distanza tra il capotasto, il punto cioè da cui partono le corde all’estremità del manico dello strumento ed il ponte, l’estremità opposta. Ad esempio, consideriamo la chitarra. Il capotasto è il punto in cui la corda si trova all’estremità superiore del manico, dove si inizia a poter suonare, mentre il ponte si trova dall’altra parte, a diretto contatto con la cassa di risonanza dello strumento. Parliamo quindi della intera lunghezza della corda vibrante. La corda libera toccata nella sua esatta metà produce un suono detto primo armonico, la cui frequenza è esattamente raddoppiata rispetto a quella della corda libera stessa. Negli strumenti come la chitarra appunto e il mandolino – che rispetto al violino o agli altri strumenti della stessa famiglia (viola, violoncello e contrabbasso) – hanno il manico segmentato in veri e propri tasti, affinché l’intonazione sia precisa, il dodicesimo tasto deve praticamente coincidere col suddetto suono armonico. La nota prodotta al dodicesimo tasto è quindi di frequenza doppia rispetto alla corda a vuoto, e suonerà un’ottava “sopra”.
Il diapason può inoltre corrispondere ad uno dei registri dell’organo a canne. Produce sostanzialmente un suono forte, profondo ed immediato, caratteristica utilizzata specialmente dagli organisti inglesi.
Riferendoci più nello specifico al nostro discorso, quello che chiamiamo diapason e che usiamo abitualmente per accordare gli strumenti, è quello strumentino metallico costituito da una forcella di acciaio con un manico, anch’esso di acciaio, saldato alla base. Il manico consente di amplificarne il suono, altrimenti molto debole, una volta appoggiato ad una cassa di risonanza, per esempio appoggiandolo ad una tempia. Il suono prodotto è, per l’appunto, il nostro “La” ed è generalmente accordato sulla frequenza di 440 Hz.
In Europa, a partire dal Rinascimento fino al al XVIII secolo, si ebbero differenti valori di frequenza per il La, da 315 a 519 Hz, tanto da richiedere che il problema della normalizzazione venisse posto seriamente a Vienna nel 1885 in un congresso internazionale che confermò la frequenza del diapason, fissandolo a 435 Hz. Soltanto nel 1953 per iniziativa dell’ISO, a Londra, la frequenza passò all’attuale 440 Hz.
Al di fuori del mondo musicale, il diapason è usato in medicina per trasmettere le vibrazioni attraverso l’apparato osseo ed effettuare in questo modo diversi esami acustici mentre, nel campo dell’orologeria, piccoli diapason vengono usati come generatori di frequenze standard in alcuni orologi, e addirittura particolari oscillatori molto simili sono stati utilizzati per la generazione di frequenze fisse in alcuni sistemi di sicurezza per la circolazione dei treni sulla rete ferroviaria italiana.