Siamo nella seconda settimana di Avvento e a partire dal prossimo 16 dicembre, con l’inizio della Novena, inizia il conto alla rovescia per il Natale.
I ricordi, soprattutto per i meno giovani, prendono il sopravvento quando, anche nel nostro Salento, – già dal giorno dell’Immacolata – il suono della zampogna e della ciaramella inondava case, botteghe e piazze di grandi e piccoli centri.
Anche se un po’ in sordina, il loro antico suono ritorna – come tutti gli anni – simile ad una “Sinfonia avanti l’opera”, ove per opera intendiamo la grande festa cristiana che commemora il diem natalem Christi. Le musiche degli zampognari – con i brani popolari e tradizionali (ad esempio Tu scendi dalle stelle o Stille Nacht) – diventano parte integrante e anticipo dei temi presenti nell’opera (la Natività).
Questi strumenti hanno una struttura tale da poter garantire sia il canto della melodia che l’accompagnamento. Se la ciaramella, come ricorda la sua origine latina calamus, rimanda ad una canna, la zampogna, o tibia utricularis, è formata da più canne inserite in un otre, generalmente di pelle di animale, che fa da serbatoio d’aria. Presenti spesso in coppia nell’iconografia, appartengono alla famiglia degli strumenti a fiato ad ancia: il primo esegue il canto (la melodia) e il secondo, essendo provvisto di più canne, realizza oltre che la melodia anche il bordone (suono fisso che accompagna il melos).
Per alcuni le loro vibrazioni possono rappresentare un “suono evangelizzatore”, altri possono concepirlo a mo’ di un concerto di musicisti girovaghi e per altri ancora può rappresentare un mondo di ricordi suggestivi tanto da essere evocate in una poesia di Giovanni Pascoli.
Le CiaramelleUdii tra il sonno le ciaramelle, /ho udito un suono di ninne nanne, /ci sono in cielo tutte le stelle, / ci sono i lumi nelle capanne. / Sono venute dai monti oscuri/le ciaramelle senza dir niente;/ hanno destata ne’ suoi tuguri/tutta la buona povera gente. / Ognuno è sorto dal suo giaciglio;/ accende il lume sotto la trave:/sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio, /di cauti passi, di voce grave. / Le pie lucerne brillano intorno, /là nella casa, qua su la siepe:/sembra la terra, prima di giorno, / un piccoletto grande presepe. / Nel cielo azzurro tutte le stelle/paion restare come in attesa;/ ed ecco alzare le ciaramelle/il loro dolce suono di chiesa;/suono di chiesa, suono di chiostro, / suono di casa, suono di culla, /suono di mamma, suono del nostro /dolce e passato pianger di nulla. / O ciaramelle degli anni primi, /d’avanti il giorno, d’avanti il vero, /or che le stelle son là sublimi, / conscie del nostro breve mistero;/che non ancora si pensa al pane, /che non ancora s’accende il fuoco;/prima del grido delle campane/fateci dunque piangere un poco. / Non più di nulla, sì di qualcosa, /di tante cose! Ma il cuor lo vuole, /quel pianto grande che poi riposa, /quel gran dolore che poi non duole;/sopra le nuove pene sue vere/vuol quei singulti senza ragione:/sul suo martòro, sul suo piacere, /vuol quelle antiche lagrime buone!
La poesia fa parte dei Canti di Castelvecchio (1903) dove un Pascoli nostalgico prova a tradurre il suono degli strumenti in vibrazioni di vita con evidenti rimandi al suo mondo interiore. Trattasi di «un suono di ninne nanne» ma anche di «suono di chiesa» e ancora «suono di chiostro, /suono di casa, suono di culla, /suono di mamma», ma anche «suono del nostro /dolce e passato pianger di nulla». Per noi il “pianger” diventa commozione di un suono che porta alla magia dell’atmosfera natalizia e al mistero della nascita.