Dat Rosa mel apibus
La Legge n. 242/2016 ha espressamente riconosciuto l’uso legale della cannabis purché il contenuto di principio attivo (il tetraidrocannabinolo o più semplicemente THC) non risulti essere superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento.
A seguito della intervenuta pubblicazione in una fase successiva alla pubblicazione della legge stessa di alcuni ulteriori provvedimenti e di circolari che ne hanno chiarito ulteriormente la portata ed i limiti, dall’anno scorso è possibile acquistare la cannabis in numerosi negozi sparsi sul territorio, pur trattandosi di un particolare tipo al quale, in virtù di particolari procedimenti adottati in fase di coltivazione, è stata praticamente sottratta ogni capacità psicotropa (quella cioè che caratterizza le vere e proprie sostanze stupefacenti in quanto tali). Inoltre, almeno in teoria, la vendita legale di questa sostanza non è esclusivamente indirizzata al consumo personale, ma principalmente al suo utilizzo nel campo dell’industria, come nel caso della produzione di accessori ed indumenti, e del florovivaismo, cioè della coltivazione dei fiori a fini semplicemente decorativi.
La cannabis è una pianta originaria dell’Asia centrale e sacra per le popolazioni hindu. Da un punto di vista strettamente spirituale, il suo utilizzo nei secoli da parte di quelle popolazioni, ha sempre rappresentato il veicolo, o uno dei possibili veicoli, utili al raggiungimento dello stato meditativo ideale. Dalla pianta di cannabis vengono estratte due sostanze differenti: dalla incisione delle nervature presenti sulle foglie e relativa raccolta della linfa, posta poi ad essiccare, si ricava l’Hashish, mentre dall’essiccamento delle inflorescenze femminili (alcuni fiori di cannabis) si ricava la Marijuana. L’effetto sull’organismo non è quello comune ad altri tipi di sostanze psicotrope come la cocaina, derivata a sua volta dalle piante di coca ed originaria dell’estremo occidente, anzi è esattamente l’opposto. E mentre la cannabis procura uno stato di rilassamento fisico totale, tanto che fino a tutto il XIX secolo veniva utilizzata anche come anestetico qui in occidente, effetto che favorisce lo stato meditativo, nell’altro caso, quello dei derivati della coca, si ha una reazione violenta – e assolutamente logorante per l’organismo- di iperattività ed assenza di reazioni agli stimoli naturali della stanchezza, del sonno e del dolore. Ben inteso: qualunque Maestro Spirituale dirà, ed a ragione, che gli stati meditativi di cui parliamo occorre raggiungerli mediante la pratica costante e l’addestramento mediante opportuni esercizi. Ciononostante, l’assunzione di cannabiboidi – oppure di oppiacei, il cui effetto è sostanzialmente identico se pure più marcato – ha rappresentato per secoli lo strumento più semplice ed immediato per cui l’apprendista potesse iniziare a prendere coscienza di quello che viene definito ìCorpo Astraleî, come entità separata dal normale Corpo Fisico.
Nella nostra cultura, che della Spiritualità ha un concetto spesso permeato da pregiudiziali troppo pragmatiche e radicate, si è diffusa l’idea che si stia parlando praticamente della stessa cosa, e che in entrambi i casi si sia di fronte a sostanze che “sballano”, sostanzialmente identiche. Il che non corrisponde affato a verità, come qualunque chimico potrà confermare facilmente.
In tutto questo, appare ovvio non lasciare le giovani generazioni libere di fare un uso dei cannabinoidi. Non appare questa una strada praticabile. D’altro canto, tuttavia, l’uso consapevole, motivato da ragioni di crescita spirituale sulla cui validità è il libero arbitrio a decidere e, soprattutto entro i limiti imposti dalla legge -che, in quanto tale necessita di essere osservata senza discussioni possibili- è un altro conto.