Come si evince dall’Introduzione di Gigi Montonato «Questo libro è nato sulle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno nel 1998, rievocando il ’68 salentino, a trent’anni dall’evento» a seguito della richiesta da parte di Piero Lisi, ad alcuni protagonisti di quell’evento, di un contributo per poi pubblicarlo. Il volume, causa elezioni politiche di quell’anno, subì una battuta d’arresto rinviando la sua redazione che poi ha visto la luce con l’inserimento in appendice di una serie di documenti utili ad approfondire ulteriormente l’argomento. Fin qui la genesi.
A raccontare quell’esperienza dei grandi cambiamenti e di “rivoluzione” sociale tout court sono dodici testimoni, i quali, attraverso una narrazione sincera e asciutta, non nascondono una certa nostalgia. A tratti non disdegnano il ruolo di patres e con saggezza, intelligenza e umanità che li contraddistingue, sembrano rivolgersi ai giovani di oggi augurando quel sis patris decore.
D’altronde, lo stesso numero degli autori si presta a diversi collegamenti. Cito solo due esempi: i discepoli e la dodecafonia (Metodo di composizione con 12 note imparentate solo le une alle altre), entrambi legati da pensieri e spiriti rivoluzionari.
Tornando ai protagonisti del volume, per alcuni aspetti ognuno può rappresentare, secondo il proprio credo ideologico, un apostŏlus del coraggio e della speranza per un mondo migliore perché – come racconta Antonio Caprarica – chi ha preso parte a quella rivoluzione aveva comunque intuito che «c’era un orizzonte più vasto di quello disegnato […] dai custodi della “tradizione”».
A questo ‘coro’ appartengono le voci di: Antonio Caprarica, Ruggero Vantaggiato, Oreste Massari, Piero Manni, Mario De Cristofaro, Pietro Mita, Gigi Montonato, Gianni Scognamillo, Giovanni Rizzo, Ernesto Mola, Piero Lisi e Mario Marti.
Per alcuni aspetti i loro interventi, pur generando nuove polifonie, si contrappuntano con le parole di Wilde: «Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto, mentre rischiando avremmo solo avuto più o meno probabilità di perdere».
Questi giovani intellettuali non solo hanno avuto il coraggio di osare ma si sono riconosciuti, parafrasando Dumas padre, in quel coraggio che incute rispetto dei propri avversari. Tuttavia, anche a Lecce, è successo di tutto, compresi «scontri fisici anche duri» (Vantaggiato).
Con il senno di poi, l’analisi può offrire letture di vario tipo, come quella di Caprarica: «Come capita sempre agli esploratori, abbiamo preso allora molti abbagli. Ma non è giusto considerare la gioventù un errore e il suo entusiasmo un difetto». Non mancano inoltre letture più ampie: «un momento di grande e sentita partecipazione e maturazione democratica delle giovani generazioni» (Mola).
Tra i tanti insuccessi, va citato almeno un esempio che ha portato risultati positivi. Si tratta dell’impegno degli studenti al fine di ottenere la statizzazione dell’Università di Lecce. Il racconto è interessante perché svela l’episodio in cui l’allora Rettore e fondatore, Codacci-Pisanelli, «si introdusse furtivamente ma audacemente […] nell’Ateneo […] proponendoci di fare pressione presso il gruppo parlamentare della Camera del Pci per superare il veto sulla statizzazione». (Massari)
La contestazione nasce, almeno agli inizi, come «una forzatura operata da una ristretta avanguardia […] con radici diffuse in città e in provincia, collegata ad alcune sue tradizioni culturali, come quella di un certo ribellismo anarchico anticlericale (il circolo Giulio Cesare Vanini) o estetico (si pensi all’humus culturale in cui si era formato Carmelo Bene) attraverso tutta una serie di personaggi che trasmettevano queste tradizioni […] fecondata già dai primi fermenti intellettuali liceali» (Massari).
Secondo Vantaggiato tutto ha inizio «in sordina, con lo smantellare la tradizione goliardica e la famosa “festa della matricola”, una festa durante la quale il Sindaco consegnava simbolicamente le chiavi della città agli universitari, consentendo loro di fare baldoria per un’intera settimana». Ma si dice anche (ed in parte è vero) che il movimento a Lecce «fu un movimento spontaneo e radicato nel territorio» (Montonato). In città «il ’68 arrivò con un anno di ritardo, nella primavera del ’69 […] La scintilla della rivolta giunse in Italia dalla Francia […] Era il 6 maggio 1968 e la contestazione, della Sorbona […] si estese rapidamente agli altri atenei francesi e quindi, in Italia, a Torino, Milano e Roma» (Lisi). Famoso lo slogan del maggio parigino
Ce n’est qu’un début, continuons le combat! che, in qualche modo, chiarisce le intenzioni.
La contestazione «fu il punto di arrivo di un disagio e di un rigetto, maturati negli anni, nei confronti dell’ingessatura politico – economica postbellica, della contrapposizione tra i blocchi statunitense e sovietico» alle cui motivazioni se ne aggiungono altre ancora, comprese le canzoni di protesta (Rizzo). Questi ragazzi cantano la ribellione sovrapponendosi alla voce di Gianni Morandi nel brano C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones con espliciti riferimenti alla guerra in Vietnam o di altri cantautori come Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini o di ispiratori di messaggi di pace come per esempio Joan Baez.
Più in generale si guarda ai modelli della beat generation perché portatrice di libertà nei costumi, trovando tra gli interpreti: Rolling Stones, Elvis Presley, i Beatles, ecc. Tornando al nostro paese, oltre al rock and roll, diventa sempre più fruibile il Jazz e Giorgio Gaslini dirà che «un nuovo rapporto tra musica e ascoltatore comincia solo sulla spinta del ’68».
«Forse il ’68 lo vedono, quasi tutti, come un’esperienza romanzesca, come un’avventura giovanile» (De Cristofaro), visione derivata anche dal ricambio generazionale. «Da noi venivano messe sotto accusa un’Università e una scuola classiste in una società e in una provincia per alcuni aspetti precapitalistiche; forti erano le spinte verso la pratica di una democrazia autentica, di base, con tutti i difetti dell’assemblearismo» (Mita).
Ma i giovani di allora sono anche ‘divoratori’ di libri, certi che la lettura rappresenti un «mezzo per capire, interpretare il mondo […] Edo Palmieri, la libreria Palmieri (nella mia memoria sono tutt’uno). Il luogo di formazione di una intera generazione di lettori leccesi» oltre alle tante riviste e i giornali (Scognamillo). Si legge Marcuse, Marx, Guevara, Mao ma anche Lettera ad una professoressa di Don Milani, scritto proprio nel 1967. C’è chi arriva ad affermare che «il Sessantotto è morto nel senso che ogni evento ad un certo punto cessa di essere attualità e diventa storia, ma le sue cause non sono rimosse ed i suoi esiti continuano ad agire» (Manni).
A questo punto non è facile terminare il racconto e anch’io devo ‘osare’. Per tentare l’impresa o mi affido ad un deus ex machina, oppure devo cercare una testimonianza autorevole. Preferisco la seconda. Trattasi di una voce fuori dal coro, con funzione di controcanto, che corrisponde al nome del prof. Mario Marti, allora docente ordinario presso la Facoltà di Lettere all’Ateneo leccese, che, con saggezza, dopo un’attenta analisi del fenomeno, conclude con «due considerazioni confortanti e gratificanti […]. La prima osservazione è che gli studenti più impegnati, e anche i più vivaci e dinamici, di allora [compresi gli autori del volume] sono diventati anche personaggi politici di spicco, o docenti di ruolo all’Università, e non solo leccese, o oculati amministratori, oppure operatori culturali e giornalisti […] erano insomma portavoce dell’urgenza del rinnovamento; e avevano ingegno, volontà e intelligenza da vendere […] La seconda è che il Sessantotto, qui a Lecce […] incise profondamente nella realtà culturale con un vento primaverile e rinnovatore, che è da rimpiangere. Non solo nei giovani, e per i giovani, ma anche nei più che adulti e pienamente maturi».
Il racconto, nel suo svolgimento, si fa storia e lo iato tra narratore e pubblico è quasi inesistente, tanto la partecipazione è emotiva.
Il volume, per la ricchezza dei contenuti, rappresenta tante storie nella storia. Destinato a tutti, è consigliato ai giovani affinché possano comprendere che nella vita nulla è dovuto se non accompagnato dal sacrificio, dalla responsabilità e dalla passione.