Honfleur. Piccolo porto proteso sulla Manica, luogo magico e solitario della Normandia. Terra di rimorsi, intrisa di sangue e di antica memoria, testimone unica di una delle più grandi pagine della storia. Un borgo di case a graticcio, addossate una all’altra, tutte uguali si specchiano in un mare che accoglie il riflesso di troppi colori. Una di esse ha un uscio socchiuso e sgangherato dove si legge appena Maison Satie. Qui nacque uno dei compositori meno noti dell’impressionismo musicale, le cui idee meritano l’attenzione dei suoi contemporanei Ravel e Debussy.
Eric Alfred Leslie Satie (1866-1925). Irriverente e reazionario, sempre ostile al mondo accademico che dapprima lo ostacola a proseguire gli studi in Conservatorio e, successivamente, lo attacca con pesanti critiche sulla sua musica, considerata all’epoca di scarso livello artistico e culturale. In realtà la sua produzione segna un vero e proprio momento di rottura che da subito si orienta in direzione opposta e contraria all’ordine ormai consolidato su rigide forme chiuse e stereotipate.
Probabilmente l’educazione famigliare, particolarmente sensibile al teatro ed alla musica, influenzò molto la sua formazione artistica, e tutta la sua produzione fu il risultato costante di ricerca e rinnovamento. Gli inizi del 900 rappresentano una vera e propria rinascita per la tradizione musicale francese. Ed Erik Satie lo sa. La sua musica è scoperta, nuda. Spoglia da tutti gli orpelli, la scrittura diviene essenziale, libera, la metrica si abbandona ad arpeggi ampi, lenti, sussurrati. Gli accordi si muovono liberi, non più battute, stanghette, risoluzioni prevedibili, il ritorno alla tonalità sembra già un ricordo lontano. Inizia una vera e propria sfida alla tradizione classica. Nasce in Francia il gruppo dei Sei. Satie è il leader. E’ una nuova era per la musica e per il suono, nasce lo studio della fonometria. Il suono non si ascolta, si misura. E non sorprende ancora una volta la sua pungente autoironia che gli suggerisce: “la mia… è musique de tapisserie”…
La fantasia ha il sopravvento, il pianoforte è suono etereo sì, ma si sperimenta ancora su nuove espressioni timbriche, la sua provocazione continua e lo strumento diventa spazio ideale per metterci dentro carta, pezzetti di metallo, oggetti… “il pianoforte preparato” restituisce materia: suono e rumore.
La fine della passione per la pittrice Suzanne Valadon lo ispirano alla composizione di un’opera Vexations, atipica nel suo genere, ma che gli darà una notorietà al grande pubblico trattandosi del brano più lungo della storia della musica: 152 note ripetute per 840 volte in uno spazio che copre appena una esecuzione di 20 ore di seguito. Più che un’opera vera e propria è un’autentica ossessione o un mea culpa (forse?) affidata in prima esecuzione assoluta a J. Cage.
Atmosfere rarefatte avvolgono le sue opere, come specchio di un anima che muta e trasmuta in ogni pagina della sua grande produzione pianistica, il suono etereo delle Gymnopedie, le Gnossienne, i Preludi e le Sarabande saranno ancora una volta il contraltare di altre forme estreme, mistiche, visionarie che trovano spazio nel teatro dell’assurdo. Assurdo fu riaprire la casa di Montmartre, in Rue Cortot dopo la sua morte e trovarvi sparsi 4000 bigliettini, un corredo di abiti di velluto tutti uguali e una collezione di ombrelli mai usati! “Si racconta che nelle notti di pioggia lasciasse gli spartiti all’aperto sotto le stelle perché potessero assorbire l’eco delle armonie celesti”.