Definito in una incessante campagna pubblicitaria “un capolavoro”, l’ennesimo capolavoro di un grande regista come Pupi Avati, questo film è stato decisamente deludente.
Sublimi gli attori, di notevolissimo ed indiscusso talento (per tutti, Lorenzo Salvatori, interprete del demoniaco e orrendo Emilio Vestri Musy); effetti speciali incisivi; atmosfera inquietante e molto pesantemente noir; ambientazione riuscita in un’Italia del 1952, primitiva, credulona e bigotta.
Ma la trama… la trama è a dir poco sconcertante e di difficilissima elaborazione.
Che avrà voluto dire il Regista?
In 86 minuti di pellicola si viene catturati dagli effetti; dai volti demoniaci; dall’ingenuità di Furio Momentè, ispettore del Ministero di Grazie e Giustizia al primo incarico in una Venezia assopita e perbenista, ligia ad ossequiare il Papato; dall’ambiguità del sacrestano di una Chiesa desolata e avvolta nel mistero di un antico crimine mai svelato; dalla calza perennemente smagliata della nobildonna Vestri Musy:
Ma la trama… comprendere la trama e l’essenza del film è un vero e proprio ‘lavoro’ su se stessi.
Il regista avrà forse voluto dirci che il male, sempre ben architettato e dissimulato, non può non trionfare sul bene, ingenuotto e sprovveduto, e sulla voglia di giustizia e di chiarezza?
O avrà forse Avati inteso ricordarci che la superstizione, il pregiudizio, la malevolenza e il pettegolezzo su ciò che è ‘diverso’ dalla cosiddetta normalità uccidono più di un assassino?
Oppure, ancora, fine del film è quello di sottolineare come le ossessioni possano prendere corpo e sembianze umane e non rimanere soltanto fantasmi rinchiusi in una mente malsana?
Chissà…
Ecco perché il brutto film merita di essere visto, perché ciascuno di noi ne coglierà una ‘morale’ e un insegnamento differente, interrogandosi e riflettendo sulle proprie paure, sulle proprie ansie, sui risvolti inconfessati e inconfessabili della propria esistenza.