Il Don Giovanni di Mozart, di recente rappresentato al Teatro Apollo di Lecce, offre l’occasione per una riflessione su questo personaggio, “croce e delizia” per le donne e da un successo sempre significativo. Presente in opere letterarie, teatrali e musicali, è un mito senza tempo e, nella configurazione di tombeur des femmes, continua a far discutere. Il Romanticismo ne ha fatto un racconto quasi investito di sacralità accostandolo al Faust di Goethe ed intellettuali come Hoffmann o Kierkegaard lo considerano un’icona. L’opera, com’ è noto, presenta varianti nelle diverse versioni letterarie o drammaturgiche mentre l’impianto strutturale non si discosta molto dalla versione originaria spagnola, El burlador de Sevilla y convidado de piedra del 1616, scritta da Tirso de Molina.
Ci troviamo di fronte a don Juan, personaggio impenitente, dalle caratteristiche di seduttore, da condannare per la sua trasgressione alle regole e ai valori religiosi e morali, promesso sposo di Anna, ma che cerca di sedurre la bella duchessa Isabella, pur sapendo che è promessa sposa del duca Ottavio. Tra i vari intrecci drammaturgici c’è anche quello dell’omicidio del padre di Anna (Don Gonzalo de Ulloa) da parte di don Juan il quale, per aver deriso della morte del nobile ucciso, è trascinato dalla statua di quest’ultimo all’inferno come punizione delle sue azioni biasimevoli.
La versione mozartiana, su libretto di Da Ponte, in qualche modo rappresenta il rapporto perfetto tra musica e drammaturgia e, parafrasando Goethe, rappresenta un unicum.
Di questo dramma giocoso, propongo l’aria Madamina, il catalogo è questo, interpretata dal fedele servitore di Don Giovanni, Leporello, che, rivolgendosi a Donna Elvira, elenca e descrive le conquiste del padrone. La situazione sfiora la comicità, pur in una situazione di abbandono della povera malcapitata Donna Elvira. Anche in questo caso, è lo stesso testo con i suoi versi decasillabi e ottonari, all’interno delle rime, a pulsare freneticamente e ben inserirsi nel capolavoro dell’intera opera:
Madamina, il catalogo è questo/ Delle belle che amò il padron mio;/ un catalogo egli è che ho fatt’io; / Osservate, leggete con me. / In Italia seicento e quaranta;/ In Alemagna duecento e trentuna; / Cento in Francia, in Turchia novantuna; / Ma in Ispagna son già mille e tre. / V’han fra queste contadine, / Cameriere, cittadine, / V’han contesse, baronesse, / Marchesane, principesse. / E v’han donne d’ogni grado, / D’ogni forma, d’ogni età. / Nella bionda egli ha l’usanza/ Di lodar la gentilezza, / Nella bruna la costanza, / Nella bianca la dolcezza. / Vuol d’inverno la grassotta, / Vuol d’estate la magrotta; / È la grande maestosa, / La piccina è ognor vezzosa. / Delle vecchie fa conquista/ Pel piacer di porle in lista; / Sua passion predominante / È la giovin principiante. / Non si picca – se sia ricca, / Se sia brutta, se sia bella; / Purché porti la gonnella, / Voi sapete quel che fa.