Il rischio depressione post Covid-19

0
124

Mens sana in corpore sano, dicevano i sapienti latini. Si mangia più che mai nella realtà del 2020. Spesso si esagera per colmare un vuoto affettivo. L’abbuffata è vissuta, in particolare in questo caso, come antidepressivo. Le portate a tavola ai tempi del Coronavirus hanno abbondato nelle famiglie, preparate a casa, aventi la funzione di coccole e c’è chi ha migliorato nel contempo la propria arte culinaria. Molti si affidano ancora alla cucina da asporto, deliziandosi mentre si placa la fame fisiologica. E che dire della fame psicologica? Lo stomaco pieno in un corpo nel migliore dei casi è messo alla prova dall’attività fisica.

Ma sommando tutto si nota che qualcosa manca. Emerge un disturbo psichico che riguarda il tono dell’umore. È una risposta alla quarantena diffusa e ancora presente tra i fenomeni sociali. Esattamente la qual cosa ha un nome ben noto a molti in ogni età e si chiama depressione. Si manifesta con un senso di malinconia e scarso interesse per le abituali cose piacevoli e nei confronti del futuro. E l’aggravante è un sentimento di sfiducia nelle proprie capacità di operare dei cambiamenti. Persiste  pertanto uno stato di mancanza di volontà a perseguire piccoli e medi obiettivi, essendo assente la motivazione al fare.

La carenza di stimoli psicosociali pervade l’essere umano sempre con lo sguardo rivolto verso terra anziché al cielo. Tutto ciò ha in comune propriamente con i sintomi che hanno a che fare con il disturbo post traumatico da stress. Appunto questo riflette lo spaccato di vita comune alle nostre case, alla nostra Italia e al mondo, tutto zona rossa. Ma non ci allarmiamo oltremodo, da questo disturbo a carattere prettamente depressivo dopo un anno ci si rimette spontaneamente, spesso senza l’ausilio psicoterapeutico. Capita pure che chi ne soffre talvolta presenti dei sintomi successivi al trauma che vanno spesso curati con i farmaci. Nella situazione clinica si lavora sulla tendenza all’evitamento, ad esempio del ricordo del trauma. Con l’aiuto di un terapeuta la persona vittima di eccessivo stress deve essere esposta ai ricordi dolorosi. Ma s’intende, non così d’emblée, l’esperto  utilizza apposite tecniche di rilassamento e poi dà i “compiti a casa “  e cioè cosa fare, come fare, dove fare e con quale frequenza. Sotto il suo monitoraggio fa ripensare, alla persona che si sottopone alla consulenza, alle emozioni provate e fa correggere le convinzioni controproducenti. L’operazione si sostanzia nella richiesta del tecnico, per così dire, di parlare al presente, di immaginare l’evento da lontano o come in un film.

Spesso la persona che fa questa sorta di viaggio nel proprio intimo è portata mentalmente ad operare con un ragionamento precipuamente emotivo, che inevitabilmente la conduce a fuorvianti errori e a convinzioni disfunzionali. Ma che vuol dire? In parole povere disfunzionale significa che non fa bene e che induce alla sfiducia in sé, negli altri e nel valore personale. Quindi giunti a questo punto occorre applicare modalità di respirazione e individuare strategie di distrazione mentale. Ovviamente più la personalità è complessa maggiore sarà il tempo per completare il trattamento. Ma non c’è da scoraggiarsi, come per altri problemi di salute fisica vi sono dei rimedi anche per il nostro cervello, esistono delle soluzioni che consentono di guarire o di tenere sotto controllo la situazione problematica.

C’è un modo per cacciare via i fantasmi da cui non appare agevole liberarsi. È salutare non pensare di convivere tristemente con l’ossessione del buio affettivo ma impegnarsi a combatterlo su tutti i fronti. L’inerzia è il male peggiore per la persona depressa. Dunque è bene stare allerta, tenendo ben presente il detto emblematico che recita “L’abitudine costituisce una fonte molto più affidabile del desiderio o della motivazione”.