L’Attore Fabio Rubino si racconta a Paisemiu

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Sul palcoscenico della vita, sfilano, innumerevoli volti, ognuno con la sua storia, i suoi problemi, le sue fatiche, le sue ansie e le sue speranze. Sono volti che ci incrociano e provocano i nostri volti, cioè  le nostre coscienze. Come si sente ad essere Fabio attore? La coscienza del suo essere attore, è l’incarnazione del suo sentimento d’identità?

Credo che ogni volto incrociato, ci attraversa riflettendosi in quella parte di Noi che gli corrisponde. Questo incontro provoca, suscita, risveglia, insegna. Essere attori per me è questo, essere disposti a cogliere queste reazioni ed imparare da ognuna di esse. Ogni identità è in continuo mutamento, ogni momento corrisponde ad un cambiamento ed il Teatro induce ad una continua riflessione, chiede di esplorare ogni punto di vista. La mia coscienza attoriale è imperativa, esige il massimo dell’impegno, perché il Teatro per me, si genera sempre oltre il limite. Diversamente sarei schiavo delle mie comodità mentali piuttosto che di una continua ricerca, di un continuo mettersi in gioco che rinnova sempre l’attore.    

Pensa che l’essere attore sia una specie di sublimazione del bisogno di esibirsi? O cosa? Che cosa l’ha portata a fare l’attore, oltre all’amore per il Teatro?

L’esibizione è una componente essenziale nell’andare in scena ma è rischiosa. Occorre conoscersi per saperla dosare. Mi hanno insegnato duramente a proteggere il lavoro da interferenze che lo renderebbero vuoto, fine a se stesso. Scivolare verso l’autoreferenzialità è un attimo, una linea sottile tra essere e apparire, tra stare dentro le emozioni o starne fuori. Esibirsi però vuol dire anche essere consapevoli del rapporto con il pubblico per utilizzare al meglio questo scambio. L’esibizione allora, diventa uno strumento. nel bilanciare l’inibizione, il giudizio che l’attore sente dal pubblico.   

Quanto il Teatro può“nutrire” in positivo l’animo umano?

Il Teatro è grammatica delle emozioni, appena si entra si è come dei libri aperti, ogni gesto o parola è il frutto di un movimento interno, anche inconsapevole ma presente. In Teatro ogni parte del nostro animo è legittimata ad esprimersi, cosa questa che nella quotidianità non potremmo nemmeno immaginare. Non “poter essere Tutti” bensì “poter essere tutto”, e questa gamma infinita di espressioni che ognuno possiede ci consente di utilizzare ogni nostro colore. In Teatro c’è un continuo scambio di relazioni, con se stessi e con gli altri ed il valore profondo della catarsi, del calarsi dentro le emozioni proprie e degli altri, crea consapevolezza e produce cambiamento. Ho lavorato molti anni nel Teatro sociale, collaborando con Caritas, Cesvot, Usl territoriali, carceri, a contatto con fragilità ed unicità che ti insegnano cos’è il diverso aiutandoti a capire quel filo rosso che è l’umanità che unisce tutti. Lavorare con ragazzi affetti da disabilità gravissime, soggetti psichiatrici, malati di Aids, detenuti, persone che portano con dignità addosso i propri mali e malesseri è stato un arricchimento che ha plasmato il mio modo di agire il Teatro. Entrare in contatto con l’altro, con la verità dell’altro ti costringe ad un rapporto autentico, immediato, viscerale. Non si scappa, devi condividere per entrare in relazione e capire.

Il 26 febbraio, ha debuttato con grandissimo successo al Teatro Paisiello di Lecce, con lo spettacolo: “Lucifero”, regia di Paolo Biribòì. Come nasce? Qual è il significato, il messaggio insito nello spettacolo?

Credo che ogni spettacolo abbia un proprio percorso, “Lucifero” di Chiara Guarducci è ritornato in scena dopo tanti anni non a caso. Paolo Biribò, mio storico Maestro e regista, lesse il testo e ne rimase immediatamente colpito. Le sensazioni e le immagini suscitate furono così forti e chiare da far immaginare sin da subito una messa in scena. Così iniziammo a leggere il testo, a masticarlo, a scoprirlo e pian piano Paolo mi fece entrare nella poesia di Chiara Guarducci. E’ stato un percorso lento, ci sono voluti ben due anni per terminarlo, anche a causa della pandemia,  ma abbiamo preso tutto il tempo per entrare sotto le pieghe di ogni singola parola, di ogni singola battuta.  Lo spettacolo racconta la caduta di Lucifero dal paradiso, parla del distacco dal divino. Da angelo a uomo, dentro un corpo che ne è gabbia, prigione. Lucifero non è il male ma rappresenta la disperazione umana, il gelo dei rapporti, la mancanza di ascolto di sé stessi e gli uni con gli altri.

Da Firenze, dove ha vissuto per tanti anni, il ritorno nella sua terra a Guagnano. Ci parli un po’ di questo trasferimento e di ciò che vuole realizzare nella sua terra natia.

Il ritorno in Puglia, da parte mia e della mia famiglia, è stato un passaggio inaspettato Dopo 25 anni passati in Toscana, nonostante il desiderio profondo di rientrare. che credo faccia parte di tutti coloro che lasciano la propria terra, mai avremmo immaginato di trasferirci nuovamente. Anche in questo caso il destino ha voluto disegnare strade imprevedibili. Una proposta di lavoro, un solo giorno per decidere e siamo tornati a casa. Bisogna avere il coraggio di voltare pagina e disegnarne una completamente nuova. E’ una sfida con se stessi ed io e la mia famiglia l’abbiamo accettata. La Puglia mi ha allevato e Firenze mi ha fatto crescere come uomo, come professionista ed artista, per me è una seconda casa.  In Puglia porto tutta la mia esperienza,  il mio bagaglio artistico e professionale al servizio di una rete educante che operando nella cultura crede fortemente di poter sviluppare          

Conoscendola, molte cose saltano subito agli occhi: dalla sua profonda sensibilità, al suo impegno ai temi sociali e umani. Quanto può, il linguaggio teatrale, incidere su temi di questa portata?

Negli anni ho capito quale sia la vera forza del Teatro. Il Teatro è come un aratro, smuove le coscienze, dove passa trasforma. E’ un’arte che si integra con tutto, può essere calata in ogni contesto creando linguaggi nuovi, punti di vista inediti, riflessioni profonde senza mai perdere di leggerezza. Questo è il suo grande segreto. Toccare l’emozione delle persone e sorprendersi. Il Teatro è altresì impegno morale e soprattutto sociale perché educa muovendo fili nascosti dentro ognuno di noi. Ti pone in ascolto, ti riporta ad un contatto ancestrale con l’essenza, spesso sovrastata da tante inutili convenzioni.     

 Sogni nel cassetto?

Oltre a quello di continuare a lavorare su quelle assi per tutta la vita? Di poter un giorno recitare sul palco della Pergola di Firenze e di vedere fisicamente realizzato un Teatro nel mio paese, a Guagnano.