Nostra intervista a Stefano Luigi Mangia: Musicista e Compositore salentino, i cui interessi spaziano dal jazz alla musica contemporanea, fino ai linguaggi delle musiche improvvisate. Si interessa di Pedagogia e Didattica della Musica, con particolare attenzione alle pratiche e condotte improvvisative. Attualmente è docente di “Musica d’insieme jazz” presso il Conservatorio di musica “P.I. Tchaikovsky” di Nocera Terinese (CZ).
Lo scorso 17 Settembre 2022, nella splendida Acireale si è tenuta la quarta edizione del Concorso “Jaci&Jazz Academy Contest”, il primo premio è stato vinto dal gruppo di Musica d’insieme jazz (“Tchaicovsky Jazz Ensemble”) da lei coordinato, che ha suonato cinque brani, tra cui “Comizi d’amore”, da Lei composto per l’occasione, immaginandolo come “commento sonoro” dell’omonimo Film documentario di Pier Paolo Pasolini.
Per giungere ad un risultato così ambito, quanto è importante, oltre alla bravura delle/degli studentesse/studenti, la collaborazione tra docenti?
La collaborazione tra docenti è determinante in quanto rappresenta il punto di partenza di ogni iniziativa, e la musica d’insieme è una disciplina di fondamentale importanza perché di raccordo con tutte le prassi strumentali. Pertanto, quella tra me e i miei colleghi è una sinergia significativa, un gioco di squadra, una “musica d’insieme” basata sull’interazione creativa a più livelli: nell’individuare gli allievi con maggiore maturità artistica, nello scegliere il “concept” (il repertorio) più competitivo e coerente, nel realizzare gli arrangiamenti che valorizzino le specificità di ciascun musicista, nel coordinare e concertare la performance finale. È un premio che abbiamo vinto tutti: i nostri allievi, io e i miei colleghi, il Conservatorio Tchaikovsky di Nocera Terinese (CZ), la comunità. Mi ritengo particolarmente fortunato nell’insegnare una disciplina che è metafora della vita sociale: il senso comunitario, l’implicazione relazionale, il percorso individuale che si intreccia a quello collettivo, la dimensione esperienziale, laboratoriale, cooperativa, la responsabilità. Insomma, la musica d’insieme rappresenta per me la sintesi tra vita e arte, ed è ciò che cerco di trasmettere anche ai miei allievi affinché possano diventare “bravi concertatori della propria vita”, proiettati nel pensarsi come parte di un tutto, e come parte di una comunità creativa.
La musica, da sempre, occupa un ruolo importante ed esercita una funzione fortemente educativa. Oggi, quanto è considerato importante l’insegnamento della musica jazz nei Conservatori italiani, e nelle Accademie private?
La letteratura scientifica, da tempo, ha messo i riflettori sulle conseguenze che le nuove generazioni di “nativi digitali” stanno pagando in termini di povertà educativa: bambini, adolescenti (ma anche adulti) trascorrono gran parte del loro tempo libero a stretto contatto con dispositivi digitali, perdendosi l’occasione degli apprendimenti esperienziali (Tarantino, 2018). Anche l’odierna Pedagogia della musica – sostenuta dalle ultime ricerche neuroscientifiche – si è ulteriormente concentrata nel promuovere l’importanza dei processi creativi nei contesti educativi. Ed è in questa cornice socio-culturale che si inserisce l’opportunità che la musica jazz offre alla formazione della persona, in quanto essa strettamente correlata con l’improvvisazione, la creazione estemporanea e l’invenzione. Menzionando Delfrati, questi elementi concorrono a generare un paradigma didattico-pedagogico mai statico, bensì dinamico, trans-disciplinare e mutabile per forma e contenuti. Pertanto, tale musica, pregna di codesti ingredienti di utilità allo stimolo anche dell’intelligenza emotiva, è diventata un veicolo utile e necessario in ogni ordine e grado di istruzione: sia il bambino immerso nel flusso di un contesto educativo, che l’adulto in quello formativo-professionalizzante, sono entrambi affascinati dall’atto esplorativo, in quanto ancestralmente connesso con l’esperienza e la memoria del gioco. Difatti, come rileva Del Gottardo (2019), il pensiero creativo si alimenta nel grembo dell’immaginazione per poi esprimersi nel gioco, inteso, però, come processo di significazione che attraversa le cose, gli oggetti, le esperienze e la relazione Io-Mondo. Ed è, dunque, in tale dimensione che si espleta l’intimo bisogno di recupero della propria libertà espressiva, la stessa che determina il successo della musica jazz non solo in Conservatori e Accademie private, ma anche in Associazioni Nazionali (“Il Jazz va a Scuola”) che si prefiggono l’obiettivo di promuoverne la conoscenza, la diffusione e la presenza sul territorio.
Quali i punti di forza e di debolezza di tale disciplina, in riferimento alla metodologia d’insegnamento?
I punti di forza sono da circoscrivere in una metodologia basata su un paradigma didattico flessibile, per cui contestualmente adattabile. Tra i punti di debolezza, invece, ritengo che le metodologie d’insegnamento del jazz e dei linguaggi dell’improvvisazione debbano in qualche modo essere ricondotti a delle linee guida, o comunque a dei paradigmi fondanti le buone pratiche affinché fungano da riferimento: una sorta di schema logico aperto e utile anche agli stessi formatori. Attualmente, il Ministero dell’Istruzione però si dimostra miope nel non voler dare legittimità ordinamentale a tali pratiche, svilendone così l’importanza, oltre ad impedirne lo sviluppo. Pertanto, sarebbe auspicabile che la “Didattica dell’Improvvisazione” entri a far parte delle esperienze attive proposte già fin dalla Scuola dell’Infanzia, per poi proseguire negli ulteriori segmenti scolastici a copertura di un importante vuoto educativo, e che – inoltre – vengano istituzionalizzati dei percorsi di studio accademici di formazione specialistica. Solo con questo sguardo di proiezione culturale futuristica, le metodologie, le prassi, e la consapevolezza psico-pedagogico-didattica, potranno arricchirsi di visioni e prospettive in continuo rinnovamento.
Nel corso degli ultimi anni si avverte una maggiore sensibilità nei confronti delle persone con disabilità. È possibile insegnare la musica jazz a persone con disabilità sensoriale?
Assolutamente sì. Il Jazz rientra nelle cosiddette musiche “audiotattili“, e a riguardo rimando agli studi del Prof. Vincenzo Caporaletti che ha elaborato una specifica teoria (TMA – teoria delle musiche audiotattili). Inoltre, la musicoterapia fonda alcuni dei suoi svariati modelli terapici sulle pratiche e condotte improvvisative. Ritengo che tale disciplina, nel suo “interplay” tra arte e scienza, sia molto più avanti rispetto ad altre, e che l’improvvisazione – per sua natura – si presti bene a superare le barriere fisioanatomiche delle disabilità sensoriali, fino a quelle psico-relazionali. Uno fra tanti è il modello Benenzon che è di matrice esplorativo/esperienziale e che disegna il proprio percorso partendo dall’identità sonora del paziente (ISO). Un altro è il modello analiticamente orientato di Mary Priestley, di stampo junghiano, basato su improvvisazioni di musica simbolica; ed ancora, il modello della “musicoterapia creativa” di Nordoff e Robbins, etc…Ciò accade perché l’improvvisazione, ancor prima che nel musicale, fonda la sua genealogia nella dimensione esistenziale, e cioè come bisogno sia comunicativo, quanto orientativo, espletando prevalentemente la sua funzione e il suo valore nell’esperienza di un processo e non nella realizzazione di un prodotto.