Lecce – A conclusione di un laboratorio teatrale, definito “chiamata dantesca”, svoltosi dal 7 all’11 Novembre, che ha visto la partecipazione di oltre trenta donne e quattro uomini, si è giunti alla restituzione pubblica con un’emozionante azione corale, sotto l’attenta guida di Marco Martinelli, drammaturgo, regista teatrale, fondatore del Teatro delle Albe insieme ad Ermanna Montanari, autore pluripremiato, ricordiamo i premi UBU per l’impegno e la ricerca linguistica, per la capacità di dirigere ed organizzare azioni corali, come quella presentata lo scorso 12 Novembre presso i Cantieri Teatrali Koreja intitolata: “Purgatorio dei poeti”.
“Io sono noi” è un proverbio africano che offre l’assist per spiegare il senso di tale coralità. Si è partiti dall’Inferno e giunti in Purgatorio, mettendo al centro Pia dei Tolomei, donna colpevole solo di aver tanto amato e primo esempio di “femminicidio”. Il corifeo narra ed il coro riecheggia il suo racconto, amplificando e rafforzando il suo dire. Dunque, un corifeo poeta, che attraverso la poesia rivela sentimenti, stati d’animo, e col suo gesto spesso “eversivo” ci dice che cos’è la fede, quell’insieme di cose sperate e che Dante, uomo di pace sa così ben raccontare. Una pace attiva, perché il suo è pur sempre un gesto politico. Dante utilizza il volgare per parlare a tutti, ma proprio tutti, comprese le donne, che non avevano facile accesso al sapere. Oggi diremmo che parla a tutti e tutte. Eppure, gli era stato suggerito di scrivere in latino, e Lui da Somma Poeta qual era sarebbe stato in grado di farlo, ma non volle. Lui sceglie una lingua che è trasversale, che parla “alto” e “basso”, così da arrivare a tutti/e. Certo per una buona riuscita, come sapiente alchimista, Martinelli ha attinto anche dal suo sapere e pensando a Toltoj ha saputo aggiungere quel “Pochettino” che rispondesse alla domanda: “che cos’è l’arte?”. Ha creato una struttura, curato ogni singolo dettaglio e fatto di ogni uomo e donna un/a “Tecnico/a di Dioniso”, capace di controllare il fuoco che arde dentro sé. Si è lavorato sui corpi, sui volti e sui frammenti poetici, non solo di noti autori come Majakovskij, Whitman e Emily Dickinson, ma anche sui piccoli, struggenti pensieri, scritti dalle partecipanti. La musica e le luci hanno fatto il resto, con i loro autonomi linguaggi, interagendo e sapientemente dialogando, perché il coro è un “Fuoco” che arde e che “Con-fonde”.