Il concerto di domenica 15 gennaio presso il Saloncino del Teatro fiorentino della Pergola (ore 21.00), davanti ad un pubblico attento, curioso e ben predisposto non solo verso una percezione acustica e visiva ma anche nei confronti di continue interazioni con la letteratura, ha segnato un’altra tappa significativa della stagione degli Amici della Musica.
Protagonista della serata L’Astrée, ensemble torinese, insieme a Laura Torelli, voce recitante. Come ricordato dal direttore artistico Andrea Lucchesini, nell’intervento introduttivo, il concerto era dedicato alla memoria di Fiamma Nicolodi, scomparsa nel 2021, studiosa scrupolosa, docente di Storia della musica presso l’Università di Firenze, socia fondatrice degli Amici della Musica e con la musica nel DNA, essendo nipote di Alfredo Casella.
Ho provato una certa sorpresa quando ho visto molti giovani che aspettavano di entrare per il concerto. Erano studenti di un istituto superiore che ha aderito al progetto “artisti in classe” promosso dall’istituzione, con l’obiettivo di avvicinare i giovani alla grande musica.
Venendo alla serata, per l’intreccio di alcuni linguaggi espressivi, la presenza di un’attrice / voce recitante, una certa varietà degli strumenti, le luci diverse, più che il solito concerto, è stato un autentico spettacolo scaturito dall’intersezione tra poesia e musica, con la figura di Orfeo sullo sfondo.
L’occasione era propizia per avvicinare il pubblico al mondo del mito ma anche alla poesia. A tal proposito sembrava una reminiscenza della wagneriana Gesamtkunstwerk (convergenza delle arti: musica, drammaturgia, poesia, arti visive, ecc.).
Lo spettacolo muoveva intorno al mito di Orfeo, una sorta di ‘narrazione’ costituita da legami e contaminazioni tra antico e moderno, grazie alla continua interazione tra poesia (con precisi interventi dell’ispirata Torelli) e musica (affidata all’ensemble L’Astrée, diretto da Giorgio Tabacco), dal risultato complessivamente accattivante.
La compagine dei musicisti (Francesco D’Orazio e Paola Nervi violini; Elena Saccomandi viola; Daniele Bovo violoncello; Pietro Prosser tiorba; Riccardo Balbinutti percussioni; e Giorgio Tabacco clavicembalo), grazie ad una certa varietà di strumenti, offriva anche un bel colpo d’occhio.
Si tratta di un gruppo specializzato nei repertori dei secoli XVII-XVIII e lo stesso nome L’Astrée (una delle quattro sonades en Trio di Couperin, che avrà come nuovo titolo La Piémontaise) chiarisce sia la provenienza dell’Ensemble che la loro attenzione e ricerca della musica del Piemonte.
Lo spettacolo, nel suo susseguirsi di intrecci e rimandi tra le diverse opere, è apparso subito un florilegio non solo per la scelta delle opere ma soprattutto per l’atmosfera fascinosa che il gruppo è riuscito a trasmettere.
I vari interventi di Laura Torelli, autentica vox principalis dello spettacolo, si contrappuntavano con il raffinato dialogo con gli strumenti ed è curioso, e forse non casuale, che il suo cognome rimandi al violinista e compositore barocco Giuseppe Torelli.
Lo spettacolo è stato un crescendo di eventi in alternatim tra voce e musica e in questo ‘viaggio’, il pubblico è stato guidato nella ‘maraviglia’ passando da una sorta di quadreria parlante e sonora ove si potevano ‘incontrare’, nell’ordine del programma: Monteverdi, Corelli, Gluck, Berio, Couperin, Pugnani, Vivaldi intervallati da testi di: Poliziano, Striggio, Ovidio, Marino, Rilke, Pavese e Duffy.
La struttura del programma ricordava un polittico barocco (due coppie di trittici con al centro una selezione dei Duetti per due violini di Luciano Berio). Nella varietà del programma c’è stata anche l’occasione per ascoltare la dolcezza del suono della tiorba la quale, accanto al ruolo di basso continuo insieme al clavicembalo, ha svolto quello solistico oltre a sottolineare la bellezza visiva del concerto.
Nel concerto, oltre a muovere gli affetti ed evocare stati d’animo, erano «nascoste ragioni e occasioni personali», come scrive Luciano Berio nei suoi Duetti per due violini da cui è tratto FIAMMA (Radicondoli, 28 giugno1981) e dedicato alla studiosa Nicolodi. I due violini, anche per tutto il programma del concerto e in un’intesa simbiotica, sono riusciti ad andare oltre l’intento pedagogico dei Duetti, proiettandosi verso quello più espressivo.
Dal clavicembalo di Tabacco abbiamo apprezzato una raffinata pagina di Couperin, Les Ombres errantes. Il risultato ha evidenziato una lettura sicura e aderente ad una scrittura non facile (cromatismi, modulazioni, accordi spezzati, ecc.) anche dal punto di vista polifonico e con allusioni ad effetti d’eco.
L’intervento della voce, attingendo ai testi, ricordava “Euridice morendo divenne un’altra cosa” e che nell’Ade si crede sia all’amore quanto alla morte. Giunti verso la conclusione la persuasiva voce di Laura Torelli faceva intendere che siamo di fronte all’amore folle di Orfeo il quale continuava ad essere perdutamente innamorato (alla follia) della sua Euridice. In una felice correspondance tra parola e musica i singoli pannelli che formavano entrambi i trittici sonori trovavano la giusta collocazione per la Sonata vivaldiana in re minore per due violini e basso continuo op. 1 n. 12, RV 63, nota con il nome La follia. Dopo aver ascoltato il famosissimo tema in tempo di sarabanda, la successione delle variazioni suggeriva una più ‘variata’ drammatizzazione della stessa narrazione. Se nei movimenti lenti spiccavano i cantabili, nel gioco imitativo tra i due violini e il basso era il contrappunto a dettare le regole mentre il pulsare ritmico invitava al virtuosismo, spesso ben evidente grazie al chiaro fraseggio del violoncello.
In questo finale abbiamo potuto ammirare quella naturale conclusione che caratterizza un bello spettacolo: l’ensemble era al completo e ancora una volta è emersa quella straordinaria dialettica tra estro e armonia che nel 1711 (op. 3) diventerà una delle caratteristiche della musica vivaldiana.
Non posso non accennare all’ecletticità e alla bella musicalità del violinista D’Orazio. Abbiamo apprezzato la sua capacità di suonare coinvolgendo gli altri musicisti ed una precisione nel tessere raffinati equilibri sonori senza mai dare l’impressione di voler primeggiare.
Quasi dea ex machina, a sorpresa ricompare (fuori campo) l’attrice, scalza e vestita di nero, con gli ultimi interventi quasi dissacratori tratti dal lavoro di Carol Ann Duffy, riferendo qualcosa di simile: «gli animali,
dall’armadillo alla zebra, s’accalcavano al suo fianco quando cantava…Sono tutte balle!» senza rinunciare ad una certa ironia con Euridice che riferisce «preferisco esser morta», anziché vivere ancora con Orfeo.
Per dirla con Giambattista Marino gli ascoltatori sembravano aver compreso che «è del poeta [L’Astrée] il fin la meraviglia».
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