In occasione del “DanteDì”, la parola al prof. Rino Caputo, Emerito di Letteratura Italiana presso l’Università di Tor Vergata a Roma, membro della Dante Society of America, condirettore della rivista “Dante. International journal of Dante Studies” e autore di “Il pane orzato: saggi di lettura intorno all’opera di Dante Alighieri” (Roma, Euroma, 2003); “Per far segno: la critica dantesca americana da Singleton a oggi” (Roma, Il Calamo, 1993).
Per brevità elenchiamo solo i lavori attinenti a Dante. Di lui va sottolineata la grande capacità di parlare in maniera trasversale, chiara, semplice, di creare interesse e dare quel giusto input che porta ad approfondire le numerose tematiche dantesche. Con la stessa generosità dell’intellettuale che ama diffondere il sapere, ha risposto alle domande che seguono.
Quando nasce il Suo interesse per Dante?
Il mio interesse nasce in seconda elementare, quando, durante la lezione ho appreso del suo esilio e in qualche modo, mi sono immedesimato nella condizione drammatica, pesante dell’esiliato e soprattutto dell’“ingiustamente esiliato”. Sin da piccolo, condividevo questo sentimento di sdegno nei confronti dell’ingiustizia, perpetrata su Dante.
Perché Dante è ancora così attuale?
Dante è ancora così attuale per vari motivi. Il primo è perché ha forgiato la nostra lingua. Ancora oggi il 90% delle parole che utilizziamo durante la nostra quotidianità è lì, nel “magazzino” che è la Commedia. Dopo tanti secoli, siamo stati capaci di aggiungere il restante 10% soprattutto negli ultimi decenni, grazie agli stranierismi ed al linguaggio informatico. Un altro elemento di attualità della Commedia è dato proprio dalla poesia, cioè dalla capacità di rendere il mondo, attraverso la poesia, il Suo mondo.
La grandezza della Divina Commedia è nella potenza descrittiva ed espressiva, aulica e popolare, peculiare e multidisciplinare… Secondo lei, cosa di tutto ciò ne fa un capolavoro?
La grandezza di Dante è nella capacità di resa artistica, del mondo che vuole rappresentare. La differenza, rispetto agli altri poeti che si sono cimentati con temi così forti è proprio questa. Sicuramente, questa sua peculiarità è legata al talento, come avrebbe detto lui, a qualcosa d’innato, quello che Giovanni Boccaccio chiamava il “fervor”, senza il quale nessuna “exquisita locutio” può affermarsi, attualmente diremmo nessuna “competenza professionale”. Ci vuole il fervor e Dante lo aveva. Ancora oggi ha l’abilità di farci immergere in contesti non totalmente esplorati.
Dante è una fonte inesauribile dalla quale, ancora oggi attingere. E’ esistito o esiste un visionario degno di potergli essere paragonato?
Certamente la Commedia di Dante può essere definita una “Visione” e Dante un “Visionario”. In realtà, come sappiamo, il poema è costruito seguendo, quasi perfettamente, le indicazioni teoriche della Teologia. Infatti, c’è la traduzione, in termini poetici, della religione cristiana e cattolica in particolare. Lo stesso viaggio oltremondano è la riproposizione di una sorta di “Imitatio Christi”, ovvero, lo dice espressamente Dante nel Canto II dell’Inferno, quando pone a Virgilio la “Falsa domanda” sul perché deve fare questo viaggio, egli continua dicendo “Io non Enea, io non Paulo sono”. Virgilio gli spiega che lui fa il viaggio perché è “uno qualunque” delle creature umane, noi lo sappiamo che non è proprio così. Non a caso la critica dantesca nord- americana, seppur di recente, si è tanto occupata di questi temi dell’opera dantesca ed è venuto fuori il termine fascinoso “whiceveryman”. Dante a nome di tutti compie una peripezia, nel rigoroso rispetto della “Imitatio Christi, perché dalla terra, dal luogo del peccato si scende fino all’Inferno, si resuscita, in qualche modo, attraverso il Purgatorio, per salire poi al Cielo, fino a raggiungere il Padre. In fondo, sono le prime parole del Credo, la preghiera fondamentale della religione cattolica. Questo per dire che la visione di Dante prende forma nell’invenzione del Purgatorio, visto come elemento provvisorio, transitorio ma anche intermedio tra Inferno e Paradiso, nell’aut- aut, bene, male, c’è questa via di mezzo. Dante, un visionario, un mago, nell’accezione romantica, cioè dotato di poteri che vanno oltre quelli naturali e ancora un dotto, in quello del pensiero illuministico.
In un Suo intervento dal titolo “La pace al centro della Commedia: Purgatorio XVII”, rileva come Dante abbia diviso l’opera in maniera matematica, mettendo, appunto al “centro” i Pacifici. Lei crede che nella vita reale ci siano delle persone capaci di coltivare la pace o che la sete di potere, a tutti i livelli, ci abbia ormai precluso ogni possibilità?
Nel bellissimo Convegno “La mente di Dante” tenutosi a Lecce qualche tempo fa, ho voluto comunicare quello che mi sembra un esito inedito, innovativo che ha a che fare con Dante e con le produzioni della Sua Mente, anche con quelle che oggi i neurologi chiamano delle sinapsi, cioè la capacità di mettere insieme, di associare delle idee che prima erano irrelate, sghembe tra loro. Un esempio rilevante che ho voluto portare a Lecce è quello della pace. In effetti il tema della pace per Dante è molto importante, lo dice sia nella Commedia che nel coevo trattato “Monarchia”, che viene composta quando compone i canti centrali del Purgatorio, che parlano di pace e sono al centro del poema. Tra i cento canti, il centro è tra il cinquanta e il cinquantunesimo verso e non è a caso, a mio parere, che Dante ponga la Beatitudine dei Pacifici al centro del Poema. Beati i Pacifici che sono senza “ira mala”, cioè beati i Pacifici che “fanno” la pace, non i semplici e generici amanti della pace. La pace è un valore che va realizzato. A tal fine è giusto che ci sia un’ira non mala, ovvero una giusta dose di aggressività, di energia per realizzare la pace in terra. La pace è la condizione imprescindibile perché si possano esercitare i valori fondamentali della Giustizia Divina e dell’Amore Divino. La Giustizia, cioè l’organizzazione di tutto l’universo secondo una precisa volontà. Questo lo vediamo nei primi versi del Paradiso “La gloria di Colui che tutto move…”. Dante mutua questa idea totalizzante e al tempo stesso integrata dell’universo. Egli ricordandosi delle grandi trattazioni dei Padri della Chiesa, soprattutto di Sant’Agostino che aveva immaginato la città terrena integrata con la Città Celeste, dice che per realizzare la Giustizia Divina occorre fare la pace in terra. Questo è consentito dalla capacità soggettiva degli esseri umani, ai quali Dio ha dato il libero arbitrio, la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Nella vita reale, dei giorni nostri, gli operatori di pace esistono e sono autori, realizzatori di pace in modo diverso. Basti pensare ad una personalità come quella di Gino Strada, recentemente scomparso, che con la sua azione di risanamento medico, sanitario, era anche un fattore soggettivo e oggettivo di pace. Pensiamo anche ai tentativi, a livello internazionale, delle grandi Organizzazioni Internazionali di assicurare la pace. Il termine è molto ambiguo perché è pur sempre legato agli aspetti militari, ma pensiamo alle Forze Militari di pace, i Peacekeeper, che s’interpongono tra due contendenti bellici, per mantenere la pace. Laddove non sono riusciti a realizzarla, abbiamo avuto conseguenze terribili, si pensi al massacro di Srebrenica o l’assedio di Sarajevo, nelle guerre balcaniche degli anni ’90. Anche nella nostra contemporaneità realizzare la pace è importante, anche da un punto di vista etico e religioso. Dante sottolinea come per il credente, che vuole attingere alla salvezza eterna presso “l’Amor che move il sole e le altre stelle”, la realizzazione della pace sia una parte importante e consistente di questo cammino. Sostanzialmente essere fautori di pace, assicurare la Giustizia Divina in terra, essere dei buoni cittadini, favorisce il cammino salvifico. Da qui nasce l’impegno dei cattolici nella società civile, nelle istituzioni, pensiamo a Leone XIII e alla Sua Enciclica sul lavoro. Pensiamo all’accettazione della modernità da parte della chiesa attraverso il consenso dapprima negato, ma poi assicurato alla formazione dei partiti cattolici, il Partito Popolare, prima del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale e poi la Democrazia Cristiana. Pensiamo anche a tutti i movimenti cattolici, all’Enciclica di Giovanni XXIII “Pacem in Terris”, ai gruppi missionari, fino al grande movimento che è sotto i colori dell’arcobaleno. La colomba di Pablo Picasso, bianca, col ramoscello d’ulivo e la bandiera arcobaleno, significano Pace. Oggi non c’è più bisogno di scrivere la parola pace in tutte le lingue, perché bastano davvero solo questi segni.
Quale sarà la nuova sfida degli studi Danteschi?
C’è ancora tanto da dire su Dante. Le nuove risorse tecnologiche ci consentono ora di conoscere, con un solo “click”, ancor più nei dettagli la sua vita, la sua storia, i luoghi che ha visitato, le persone che ha conosciuto, la sua formazione culturale. Dante, soprattutto nel Paradiso, ha messo in evidenza il suo amore per le scienze, dall’astronomia alla fisica ed il suo costante rapporto con i numeri, investigando sull’Universo, a suo modo, da Poeta, ma con la curiosità di uno scienziato.