“P come Penelope”: in teatro una riscrittura contemporanea del “mito”

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Un’area perimetrata da un tubolare al neon, che cambia colore. Al suo interno un orsacchiotto beige e tre sedie, che poi diventeranno quattro. Lo spettacolo di cui narriamo è “P. come Penelope” primo studio per una riscrittura contemporanea del mito, di e con Paola Fresa in collaborazione con Christian Di Domenico, con la supervisione registica di Emiliano Bronzino, regista assistente Ornella Matranga, scene e costumi di Federica Parolini, luci di Paolo Casati, una produzione Accademia Perduta – Romagna Teatri e Fondazione TRG di Torino in collaborazione con Officina Corvetto Festival, TRAC (Teatri di Resistenza Artistica Contemporanea), KanterStrasse, Dialoghi-Residenze delle arti performative a Villa Manin a cura  del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia in scena al Teatro Comunale di Novoli il 16 marzo scorso.

Penelope, vestita di nero, si fa trovare seduta, dopo il buio, il ritmato suono del mare e il verso dei gabbiani. Di lei, tutti hanno detto qualcosa, ma nessuno la conosce davvero. Sullo sfondo del palcoscenico appare la scritta: “Penelope-anatroccola”, infatti, in greco, il nome Penelope significa anche “anatra”. Si narra che per ordine del padre fu lasciata nelle acque e poi salvata dalle anatre. È proprio dalla sua infanzia, che inizia il racconto, lei bambina, sotto l’ombrellone, con una piccola paperella di plastica gialla in mano. Si alza, e con la punta del piede cerca di andare oltre il perimetro, circoscritto dal neon, ora di colore bianco, vorrebbe toccare l’acqua del mare, ma non ci riesce. Poi, il neon diventa fuxia e mentre gira una delle sedie, parla di sua cugina “Elena”, come lei non più bambina, che in spiaggia esibiva la sua bellezza, “lei era il cigno ed io ero l’anatroccolo” dice Penelope. Un giorno le si avvicina un giovanotto, che da tempo la osserva, definendola “saggia”. Intanto la luce del neon diventa verde, e la musica di Rino Gaetano “Sfiorivano le viole” suggerisce l’inizio di un amore. Sullo sfondo compare la scritta “Ulisse”, già, perché la storia che l’attrice sta raccontando è senza tempo, attuale, ma affonda le sue radici nel mito, quello raccontato nell’Odissea di Omero. Penelope è regina di Itaca e moglie di Ulisse, che partito per la guerra di Troia, farà ritorno a casa dopo quasi venti anni. P- ripete- Penelope e racconta del suo “personaggio”, P. è l’iniziale del suo nome, poi aggiunge: “40 gli anni, 21 quelli di matrimonio, 19 gli anni che aveva quando lo incontrò”. Le sedie occupano altri spazi, ora tre sono vicine ed una quarta è più distante. Il racconto torna alla sua giovinezza, a quando il suo futuro marito aveva iniziato a corteggiarla. Lei nascondeva il suo volto dietro un libro e lui le diceva che era giusta per lui, perché intelligente, affascinante e diversa da Elena. Si sposarono e nacque un bambino. La poesia “Se tu mi dimentichi” di Pablo Neruda, sottolinea l’amore ma anche il sentimento di abbandono che deve aver provato Penelope lasciata sola col figlio di poco più di un anno, il cui nome “Telemaco”, appare in fondo al palcoscenico. Ecco prepotente la musica Hulligani Dangereux dei CCCP (Massimo Zamboni- Giovanni Lindo Ferretti), a sottolineare il difficile periodo che sta attraversando il figlio, ormai adolescente, nell’età della ribellione e del silenzio, la sua stanza un bunker dal quale uscire solo per mangiare ed espletare i fisiologici bisogni. Ricorda quando lo portava agli allenamenti di calcio. Era l’unica mamma presente, e suo padre? “Perso nel Mediterraneo” è la nuova scritta leggiamo, poi, racconta di aver messo in atto uno stratagemma per dare risposta alle mille domande poste dal figlio su dove fosse suo padre e a casa iniziano ad arrivare cartoline da varie località, tutte con lo stesso pensiero (poca fantasia, si dirà), “Ti penso, a presto, papà, saluta la mamma”. Telemaco crebbe tra illusioni e attese, dormendo nel lettone della madre, presto sostituita da un orsetto, al quale diedero il nome: “Cazzarola”. (Buonanotte fiorellino di Francesco De Gregori, sottolinea questo importante passaggio). Certo se si potesse tornare indietro e cambiare il proprio destino… Penelope non aveva perso la speranza di rivedere il suo Ulisse, e nonostante il tempo trascorso, continuava a tessere di giorno ed a disfare di notte, anche per non cedere ai tanti proci che avrebbero voluto sposarla. Ma evidentemente, il destino di Penelope era proprio l’attesa, partito il marito, ora era andato via di casa anche il figlio, salutandola con due righe scritte: “Non ti fare alcuna colpa, ho tanta gratitudine per te”. “Penelope- anatroccola”, compare nuovamente la parola “anatroccola” e, rievocato il ricordo del padre che le aveva fatto venire la paura dell’acqua. Però ora, dopo quanto accaduto, è giunto il momento di essere coraggiosi, indossare gli occhialetti e tentare di tuffarsi. “P come Penelope”, si allontana dalla scena, ritorna, ora è in costume e si prepara, è pronta, protende il corpo in avanti, ma niente, il destino è segnato, rinuncia a quel tuffo, forse, decide di restare fedele a sé stessa, in quell’abbraccio cercato altrove ma che deve trovare dentro di sé per continuare ad andare avanti.

Paola Fresa, attrice e autrice, a questo spettacolo ci lavora da qualche tempo, nasce infatti da un progetto selezionato- bando 2022-23 del TRAC intitolato “Nella stanza di Penelope” indagine intorno al personaggio e al territorio. In “P come Penelope” Primo studio per una riscrittura contemporanea del mito, è sola sul palco, in un monologo lungo e serrato, che non stanca ma riempie e incuriosisce offrendo tanti spunti di riflessione sulla solitudine, la maternità, il bullismo, l’affermazione di sé e la gestione del pregiudizio per le donne sole. Perfetta la scelta musicale, tra i brani proposti anche Amapola di Ennio Morricone e Hear my voice di Celeste, che creano un’atmosfera nostalgica e carica di patos, efficace ed essenziale è la scenografia, che con pochi oggetti di scena, e il semplice cambiamento di colore del neon, perimetro all’interno del quale si sviluppa tutta la vita di Penelope, consente un immaginario passaggio temporale. P come Penelope, un’occasione per ricordare alle donne e agli uomini, che la vita è anche, come lei stessa dice “Fuori dal recinto del mio destino segnato”.