La provocazione genera stress producendo a livello fisiologico l’emissione dell’ormone cortisolo, che incrementa la risposta automatica di attacco o fuga.
La respirazione permette in primo luogo di migliorare l’apporto di ossigeno al cervello, di ridurre i fattori stressanti e la tensione muscolare tipica dell’attacco e in seconda battuta di prendere tempo. Dando spazio a dei minuti si può pervenire ad una risposta razionale e cosciente che sia idonea ad osteggiare l’atto provocatorio e a scoraggiare l’aggressore. Ciò avviene favorendo premesse concrete resilienti che danno vita ad una forma di autoprotezione e invulnerabilità grazie alla presa d’atto delle criticità insite in chi opera questa modalità di relazionarsi nell’ambiente. Attraverso questo modo seppur insano di comunicare ci si persuade che l’altro è più debole, poiché è analiticamente provato che alla base della provocazione vi siano un forte senso di insicurezza e un bisogno di riconoscimento e di accettazione che non trovano asilo da parte del contesto di appartenenza, per cominciare. L’educazione di genitori iperprotettivi, per esemplificare, crea delle aspettative di attenzione eccessive negli individui che stentano poi a comportarsi fuori dall’ambiente domestico secondo una linea libera da sovra-strutture, limitando l’espressione del vero sé. Ai non empatici, ai non amabili e agli anaffettivi si può consigliare la lettura del testo “I 6 pilastri dell’autostima” dello psicoterapeuta Nathaniel Branden.