La serata è tiepida. Bari pullula di vita giovane. Mi avvio all’Auditorium Vallisa, supero Piazza Ferrarese e, all’ingresso del borgo antico, mi trovo davanti la Chiesa della Purificazione, una suggestiva costruzione romanica risalente alla fine del ‘500.
Entro. Le luci sono basse. Ci sono tantissime persone. Solo posti in piedi. Pochissimi, tra l’altro.
Il luogo lascia senza fiato.
Egidia Beretta Arrigoni, la mamma di Vittorio, è tra gli amici, saluta con dolcezza, non si nega a nessuno.
Il pubblico è garbato. Silenzioso.
Si dà il via ad una serata speciale.
Vittorio è con noi attraverso un video che lo mostra mentre parla della sua esperienza, della sua vita nella striscia di Gaza. Della vita e della morte a cui assiste quotidianamente. E della necessità di continuare a credere in un tempo più giusto, malgrado tutto. Restando vivi, nonostante la barbarie quotidiana. Testimoniare, far conoscere, informare.
La signora Beretta si presenta come un cantastorie che narra semplicemente una vita bella. Da raccontare, appunto. E aggiunge: “So già che sarò molto felice e che soffrirò molto. Ma io vorrei essere portatrice di emozione, non di tristezza né di cupezza. Come quando mettevo insieme il racconto della vita di mio figlio e piangevo ad ogni pagina con lacrime di gioia sofferta.” Parole di madre.
Indubbiamente gli elementi che formano la figura di Vittorio sono molteplici e vari. Carattere per certi versi schivo e solitario, un grandissimo senso di difesa dei diritti dei senza voce, uno sconfinato affetto per quella fetta di umanità messa a dura prova da enormi ingiusti sistemi politici, un ragazzo che sognava un mondo senza confini né bandiere né barriere. Un uomo che ha gettato un seme profondo al significato di umanità.
Il racconto di una vita non può essere compreso nel breve spazio di un’ora o poco più; eppure per comprendere certe esistenze basta poco. La straordinarietà si nota da ogni dettaglio, da ogni parola, da ogni scelta.
Il Vittorio bambino che a undici anni scrive “Noi dobbiamo seguire la via dell’amore, la via più giusta che ci spinge a morire per la salvezza degli altri”. Profeta di se stesso.
Il Vittorio ragazzo che, attraverso osservazioni tutte sue, arriva a trovare fondamento di vita e guida nel chiaro discernimento di giustizia e ingiustizia.
Vittorio che legge tantissimo e ama Terzani al quale si sente vicino nella capacità di immedesimazione nel dolore e nelle gioie altrui.
Vittorio che scrive. Note, spunti, appunti, poesie, lettere agli amici sparsi per il mondo e poi scrive alla famiglia quando è triste ed è lontano, chiedendo sostegno e amore.
Vittorio e il suo blog attraverso il quale molte persone riescono a vedere la realtà cruda, lucida e imparziale di una guerra spesso raccontata per compiacere i poteri forti.
“Se non c’è conoscenza difficilmente c’è presa di coscienza”.
Vittorio volontario in Perù, dove i bambini lo chiamavano Guadalupe, dal nome di un calciatore peruviano. Guadalupe che tirava calci ad un pallone insieme a loro.
Vittorio che cercava di entrare in se stesso attraverso gli ultimi, gli svantaggiati, i malati: lì cercava il senso di sé.
E poi il grande amore, la Palestina.
Il primo viaggio nel 2002. Folgorato da Gerusalemme e sconcertato dalla segregazione nella quale viveva una parte della popolazione. E la rabbia per le ingiustizie che quel popolo subiva. Le sentiva sulla propria pelle e capii che il suo ruolo poteva essere doppiamente importante: attivista per i diritti umani e portavoce di un popolo assediato.
Poi nuovi dolorosi ritorni. Il peggiore nel 2005 quando venne fermato all’aeroporto di Amman, in Giordania.
Aveva scelto di non arrivare direttamente a Tel Aviv per evitare problemi, visto che sicuramente doveva essere in una lista di sospettati, ma bastò un breve consulto con Israele e fu pestato con ferocia e abilità, privato del suo cellulare e lasciato a morire. Fu salvato da un soldato giordano e riuscì a tornare a casa.
Ma non era più il ragazzo di una volta.
A quello seguì un nuovo viaggio che lo vide imprigionato nelle carceri israeliane, ferito e processato, riconosciuto pericoloso sovversivo ed espulso dal paese.
Vittorio buio. Vittorio chiuso. Con un bisogno assoluto di riposare e di ritrovarsi nella sua dimensione familiare.
2006 Congo. 2007 Libano. E nel cuore il desiderio fortissimo di tornare a Gaza. Dove tornò, accolto con grande affetto.
2008 nuovo arresto, nuovo rimpatrio. Pagava la sua scelta di stare dalla parte degli ultimi.
Ma non demordeva. I Palestinesi erano la sua gente, non li avrebbe mai abbandonati. Avrebbe sempre portato alla ribalta le ingiustizie che subivano. Li avrebbe comunque accompagnati verso l’Utopia della libertà.
Invece arrivò *piombo fuso* e distrusse in modo invisibile e silente. Non fu una guerra ma fu una strage.
I Potenti della terra non mossero un dito per bloccare il massacro. “Piombo fuso” era considerato un problema interno allo Stato di Israele.
E in quest’altalena di forza, amore, sudore, coraggio, lacrime, speranza, mentre Vittorio progettava un ritorno a casa, la sera del 14 Aprile 2011 si ebbe notizia del rapimento.
Il 15 la conferma della morte. Il 22 il ritorno a casa. Egidia racconta che non volle rivestirlo con abiti ma con un semplice sudario così prese per lui il suo lenzuolo più bello.
Abbracciò quella bara coperta dalle bandiere della pace, da quella italiana e da quella palestinese e trovò pace. Lo vegliò insieme alle sue gatte e al cane Teo per tutta la notte.
Vittorio era tornato a casa.
Oggi, una sentenza di tribunale condanna alcuni dei suoi sequestratori e assassini, altri sono stati uccisi in conflitti a fuoco.
Non si sapranno mai i motivi per i quali Vittorio fu ucciso, anche se si possono facilmente immaginare.
L’incontro volge al termine. La commozione ha più volte fatto vibrare gli animi, le lacrime hanno fatto fatica a restare compresse negli occhi, gli applausi spontanei, scroscianti e affettuosi hanno riempito ogni pietra di questo luogo suggestivo e bello che ha fatto da sfondo al racconto di una vita speciale.
C’è stata anche la musica ad accompagnare il viaggio di Vittorio in terra di Puglia, una terra che, a detta della madre, a Vittorio sarebbe piaciuta molto.
A conclusione, tra le tantissime frasi piene di coraggio, di determinazione, di tracce chiare, mi piace ricordare questa, che, tra l’altro, ci toglie ogni alibi di indifferenza, di distanza: “Palestina è anche fuori dall’uscio di casa e ciascuno può, deve fare la sua parte perché la pace, la giustizia, la solidarietà ci diventino compagne, ovunque noi viviamo”.
Ho un nodo in gola ma sorrido. Vittorio avrebbe voluto così.
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