“… cui sibi nomen imposuit FRANCISCUM” … Un Papa venuto da molto lontano

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48 anni fa si concludeva il Concilio Ecumenico Vaticano II; 48 anni fa, la Gaudium et Spes : “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore … “.

Ecco, in un piovoso mercoledì di marzo, la Chiesa ha presentato al mondo il suo 266mo Pastore Universale, Vescovo di Roma, venuto da una terra lontana, al di là dell’oceano Atlantico. Il suo nome è Francesco. Francesco e basta…

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto …”, è semplicemente l’esigenza perenne della testimonianza cristiana dentro la storia. E’ monito anche per oggi. E’ monito soprattutto, per oggi. Vale per la Chiesa intera e per il mondo … Poco importa in chi o cosa creda, il mondo, in che direzione sia orientato.

Saranno state quanto mai profetiche le parole di Mons. Ratzinger, riportate nel nostro precedente editoriale, all’apertura del Conclave, pronunciate 40 anni or sono – poco più o poco meno – ; ma era ed è sufficientemente chiaro quello che la Chiesa non può più essere. Quasi 50 anni di Concilio alle spalle, duemila anni di Vangelo e davanti a noi un cammino aperto.

Ecco cosa Papa Francesco ha voluto comunicare al mondo che aveva, all’unisono, puntato gli occhi e gli orecchi su di lui: occorre ripensare ad una evangelizzazione che riparta dalle radici, dal Vangelo, per l’appunto. Ed occorre farlo subito. Senza esitare …
Perché, di fronte all’uomo, la Chiesa si vada interrogando di cosa le è debitrice. E la risposta non tarda ad arrivare: le è debitrice di Cristo incarnato, morto e risorto dentro la storia. E dal cuore del suo annuncio, è debitrice di un amore che sia segno di Lui.

Bando ai ragionamenti retorici, dunque; ai proclami pastorali redatti dalle firme blasonate del giornalismo nostrano ed alle miriadi di informazioni che ora circolano in rete, intente a disegnare la fisiognomica di questo nuovo Papa, passato dalla Compagnia di Gesù a Plaza de Mayo; concentrati a dibattere se Francesco si riferisca al poverello di Assisi o al missionario e gesuita Francesco Saverio, canonizzato nel 1622.

Ripartire dal Vangelo: questo oggi abbiamo ascoltato, accogliendo Jorge Mario Bergoglio, uomo dalle origini piemontesi ma nato e vissuto in Argentina 77 anni fa, che è stato fidanzato, amava il Tango ed è ancora tifoso del San Lorenzo, una squadra di calcio argentina; nulla a che vedere con le litanie o il martirologio.

Ripartire dal Vangelo: si, perché il messaggio ivi contenuto non è sapienza di dotti, parola di dottrina del mondo, ma amore che trasforma. Sono piuttosto le nostre parole che spesso hanno soffocato quella Parola. Troppe volte ci siamo accontentati di parlare e scrivere, di dibattere fra noi, di dialogare anche con il mondo in un duello più o meno corretto di argomenti e di regole.

Come ci ricorda J.H. Newmann, “ … non sono le dispute che hanno convertito il mondo … Per convertire e salvare non servono gli scrittori, i controversisti, gli eruditi, gli scienziati: servono semplicemente i cristiani veri”.

Concilio, gioie, speranze, Vangelo …

Lo Spirito Santo ha parlato. A dispetto di ogni previsione, ancora una volta è stato in grado di spiazzarci. Senza alcun preavviso. Perché è così che usa fare. Da oltre duemila anni.

Ora non c’è più tempo: lasciamo agli altri le analisi accademiche. Noi misuriamoci con quello che siamo, ovvero uomini e donne di buona volontà, in parte membra attive di quel miliardo e più di cattolici che dopo il 28 febbraio (ma qualcuno anche prima!) si è sentito inspiegabilmente orfano. E’ giunto il momento per tutti noi di passare dalle parole ai fatti. Meno parole sui doveri degli altri, maggior impegno nel cambiare noi stessi (Giovanni XXIII).

E allora: prima dei documenti, la vita, prima dei maestri, i testimoni, perché, oggi come ieri, gli uomini non vengono conquistati dalle parole che stupiscono, ma dagli esempi che stordiscono.

Guardiamo avanti, certo, ma non trascuriamo una visione retrospettiva per contemplare l’esempio dei tanti testimoni silenziosi. Sono loro – i Samuel Ruiz, gli Abbè Pierre, le Madre Teresa di Calcutta –quelli che veramente hanno scelto e scelgono ogni giorno la strada delle “gioie e speranze, tristezze e angosce … “, la strada del Concilio, insomma.

Bisognerà guardare a loro, che non predicano la povertà e non discutono su chi la predica e non la pratica: la vivono avendola scelta come orizzonte di vita, in piena solidarietà, non finta, con chi cammina a tentoni, con chi cade e bagna la terra con le lacrime e con la fatica, con chi ha fame e sete di giustizia.

Guardiamo a loro, testimoni fedeli – a volte anche un po’ scomodi – perché la carità di Cristo è scelta radicale di chi non adatta le parole del Vangelo ai compromessi mediocri; è testimonianza che chiede il prezzo della vita e della conversione in prima persona.