Inizia con il mese di maggio e terminerà il 30 giugno il periodo di divieto assoluto della raccolta del riccio di mare (Paracentrotus lividus ), così come previsto dalla legge nazionale.
La norma serve a garantire il ripopolamento della specie in questo periodo di fermo biologico; è in questi giorni, infatti, che il riccio di mare si riproduce andando a fecondare le uova depositate da esemplari femmina che in questi due mesi si trasformano in esemplari di maschio. Si tratta, infatti, di una specie ermafrodita che si riproduce grazie alla fecondazione di cellule prodotte da soggetti diversi.
In questi giorni, dunque, è vietata la pesca sia sportiva che professionale. Per chi viene colto in fallo, rischia la confisca del pescato, degli attrezzi e una sanzione da mille a seimila euro. La raccolta di esemplari sotto misura comporta anche una denuncia penale. La taglia minima di cattura, infatti, non deve essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale. Aculei compresi.
Comunque il riccio è in qualche modo protetto sempre (o, almeno, si tenta di farlo); lo dimostra il fatto che nell’intero corso dell’anno, fra il 1° luglio ed il 30 aprile, esiste una quantità prestabilita di esemplari che si possono prelevare. I pescatori sportivi, senza l’uso di autorespiratori, possono pescare solo 50 esemplari al giorno mentre quelli professionisti, con regolare licenza, non possono catturare al giorno più di mille esemplari. Durante il periodo di fermo biologico è vietato detenere, trasportare e commerciare il prodotto.
Forse dovremmo anche sapere che questi invertebrati sono un anello importante nella catena alimentare dei mari: si nutrono di alghe, e a loro volta sono da nutrimento per i pesci. Il consumo indiscriminato porterebbe all’aggravamento della già grave situazione dei nostri mari.
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