L’ultimo amore

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andar viaI vestiti erano sparsi sul pavimento di pietra. Faceva freddo, tanto freddo. Sui muri bianchi di calce, sul fico d’India che mio nonno aveva piantato un secolo fa, sulla panca di legno che il sole di estati infinite aveva prima accarezzato e poi bruciato senza misericordia. Faceva freddo ovunque.

Il peggio di un incontro sta nel raccogliere gli abiti buttati sul pavimento, raccoglierli come membra pietose, e indossarli ancora. Per tornare nella propria vita, dopo aver ceduto al sogno. Andar via da soli. E provare pena e nostalgia, mentre il vento non consola e il sole non c’è e il fischio del treno, in lontananza, manda messaggi d’addio.

Raccogli quel che resta della tua anima. Banale. E il freddo penetra ovunque.

Così ti ritrovi confuso e preda di svariate immagini che vogliono essere oblio e conforto. E pensi a quel nonno che aveva piantato un albero, mille alberi di una vita semplice, fatta dell’amore per una donna sola.

Forse…

Quell’uomo ruvido dal sorriso buono e dalle mani forti, capaci di reggere presente e futuro di una marea di gente che lui stesso aveva messo al mondo. Lui e sua moglie, la compagna di una vita, che non aveva mai sparso i suoi vestiti sul pavimento di pietra eppure aveva dato amore senza riserve e senza compromessi. E vorresti che ora fosse lì con te a sorriderti con dolcezza, come un parroco di paese che i peccati di tutti conosce ed assolve.

O forse vorresti tornare ad essere quella bimba che giocava con le bambole, cresciute troppo in fretta pure loro, e dimenticate per sempre. E inseguire il cane Tommy, amico sincero di un’infanzia ben viva nella memoria. E cerchi dolorosamente di scordare i tuoi calvari fatti di lacrime piante per inquietudine, malvagità, pensieri  che devastano l’anima. Diventate stalattiti che entrano nella carne e la devastano.

Le tratti senza riguardo, quelle lacrime, perché non hanno più importanza, come le cose che diventano tue e poi le dai per scontate. Invece pure quelle gocce dorate erano ricchezza.

Sarebbero state eredità di me stessa a me stessa.

Gli avevo finalmente confessato tutto. Tutte le parole che,  in un tempo lungo e solo,  avevo taciute.

Non è semplice ascoltare parole d’amore,  perché possono essere pesantissime da portare nel cuore.

È più facile amare che essere amati.

Lui ascoltò con attenzione, quella volta.

Ascoltò e tacque. Non aveva parole che somigliassero alle mie. Capiva che l’unica cosa con cui poteva ricambiare era il silenzio. Capiva che qualunque cosa avesse detto o fatto, non era quel che serviva a me per essere felice.

Ci sono amori che non possono vivere e non possono morire. E sono i più dolorosi.

Non è vero che a volte la vita può essere racchiusa in un solo attimo. È una menzogna. L’esistenza di un uomo contempla migliaia di risvegli e altrettanti giorni da riempire. Un attimo è solo la miliardesima parte di una vita e per quanto può averti resa felice, non può bastare a cibare i giorni.

E allora, ancora una volta, ti chiedo di aiutarmi.

Vai via. Lasciami vivere i giorni con la speranza di altri sorrisi, di altre labbra da baciare, di altre gioie da condividere.  Lasciami vivere con un residuo d’amore per me.

Nessuno saprà di noi. Non basterà fingere, dovremo dimenticare. Soprattutto noi due.

E perdonarci. L’una per aver amato troppo, l’altro troppo poco.

Ti ricordi quando ci siamo incontrati? E quando abbiamo fatto l’amore la prima volta in casa mia, senza quasi conoscerci, come cantavano i Pooh? È stata la notte più bella della mia vita; pensavo che quel paradiso sarebbe durato per sempre.

La felicità ha il grande svantaggio che illude. E l’illusione uccide.

Quella nostra prima volta mi ha tenuto compagnia negli immensi spazi vuoti che hai lasciato, scegliendo altre vite a cui regalare te stesso. E non ti odio per questo. Ti ho perdonato già tanto tempo addietro.

Ma non voglio più raccogliere i miei abiti dal pavimento in pietra.

Freddo come una tomba.

E immaginare il tuo treno che sfreccia in direzione opposta alla mia. E accarezzare le spine del fico d’India e riempirmene, per non provare il dolore dei tuoi addii.

Non ti dirò parole cattive, no. Sarebbe come uccidere me stessa.

Ma non posso darti più nulla. Non posso accettare nuove sconvolgenti solitudini.

E cibarmi di recondite speranze, come una visionaria.

C’è un forte vento, oggi. Lascerò che finalmente mi riporti a casa.

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