L’Editoriale
Da poco avevano avviato i computer, attivato la macchina del caffè, acceso le luci al neon. Qualcuno aveva già un gran mal di testa, qualcun altro deluso dal litigio con la moglie avuto la sera prima. C’era chi quasi dormiva sulla tazza del caffè bollente dopo la notte passata sui libri, chi amareggiato per il tempo sprecato in ufficio mentre i figli fuori richiedevano attenzioni.
Poi un boato e poi un altro. Il caldo, il fumo, le fiamme, il buio. Il silenzio e le urla della disperazione, della morte e della vita che arranca.
Si cerca una via di fuga ma è un attimo e tutto va giù, il mondo intero con migliaia di vite. Dopo 12 anni dal tremendo ed inverosimile attentato, l’11 settembre diventa il giorno della memoria “per non dimenticare”.
Ma chi può farlo? Forse la possibilità di “dimenticare” restituirebbe la pace ai pochi sopravvissuti che convivono con gli incubi notturni e con le più svariate patologie psichiche. Forse dimenticare riporterebbe la gioia nei cuori dei parenti dei defunti che non hanno un corpo su cui piangere. Nessuno dimenticherà anche se in molti vorrebbero farlo. Da quel giorno le più svariate teorie hanno preso forma; complotti, inciuci, subdole alleanze, velate complicità, hanno appassionato giornalisti e politologi, ma ciò che resta è il sangue misto alla cenere.
Io, che all’epoca avevo solo 20 anni, non dimenticherò mai quel giorno come se fossi stata lì. Potrei descrivere ogni dettaglio. Ero nella mia camera a studiare (neanche a farlo apposta) storia contemporanea. Lo facevo sbuffando, odiavo la storia, odiavo quell’esame e odiavo la prof. Faceva ancora caldo, mia madre era seduta sulla sua poltrona a guardare il suo solito telefilm mentre ricamava lenzuola che profumavano d’antico. Poi la sigla del Tg ruppe la monotonia di quei pomeriggi tutti uguali. Mollai i libri e corsi in soggiorno. Sedetti accanto a mia madre che bloccò di colpo le sue mani laboriose. La scena che avevamo davanti agli occhi aveva dell’incredibile, non sembrava neanche reale. Enrico Mentana improvvisava una telecronaca delle immagini basata su zero informazioni: un aereo di linea aveva squarciato una delle due torri gemelle e tutto aveva l’aria di un terribile incidente. Poi, lo stesso Mentana, si ritrovò a raccontare di quel secondo aereo che puntava dritto contro la seconda torre. Mi precipitai giù per le scale per chiamare mio padre che era in garage. Il mondo si fermò davanti a quelle immagini e mi sentivo vecchia. Pensavo a quando i miei figli avrebbero studiato sui libri quel maledetto 11 settembre, proprio come io stavo studiando la seconda guerra mondiale. Stavo vivendo la storia e non avrei potuto mai più dimenticare quel capitolo. Migliaia di vittime volate via in un giorno qualunque mentre lavoravano, persone di tutte le età, nazionalità e ceto sociale. Niente potrà farmi dimenticare quel giorno, nessuno di noi potrà farlo anche solo se lo volesse.
Eppure da quel momento nulla è cambiato. La storia non è mai servita all’uomo per imparare, per non commettere gli stessi errori ma solo a rivedere alleanze e strategie. Nei secoli la storia ci ha insegnato che tutto si ripete e si perpetua senza logica apparente. Ci ha insegnato che la civiltà non esiste, esiste solo l’uomo e la sua inciviltà. La verità è che nessuno di noi dimentica ma piuttosto accumula fatti da ricordare fino a consumare la memoria del proprio cervello, perché le date si accavallano a distanza di generazioni.
Ricordiamo l’11 settembre mentre il nostro pensiero è ormai rivolto alla Siria. Le immagini brutali si fondono e si confondono. Allora il dubbio risuona atroce: chissà chi davvero dovrebbe rinfrescarsi la memoria!
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