Signori del calcio, combattete il razzismo ma non ammazzate la goliardia

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curva vuotaPartiamo da una notizia che ha creato molto scalpore a livello nazionale: Milan-Udinese si giocherà in un San Siro deserto dopo che il giudice sportivo, a seguito dei cori inneggianti alla “discriminazione territoriale” (il significato di questo termine è tutto da verificare) in Juventus-Milan, ha deciso di punire i tifosi rossoneri con un turno di campionato a porte chiuse. Prima dei tifosi milanisti, tra l’altro, avevano pagato con la stessa pena per aver commesso gli stessi errori anche quelli di Roma, Lazio ed Inter. Senza allontanarci troppo, anche l’Unione Sportiva Lecce, nella scorsa stagione, era stata punita con 6000€ di multa per dei “cori razzisti” che la Curva Nord avrebbe rivolto al giocatore marocchino Rachid Arma.

Proprio da questo episodio incriminato al Via del Mare si può avviare una attenta analisi su quello che è razzismo e quello che per ingenuita, ignoranza (inteso come ignorare i meccanismi del tifo) o comodità viene scambiato per razzismo senza esserlo. Chi in quel 5 maggio era presente nello stadio leccese sicuramente ricorderà che, con i giallorossi in svantaggio contro il Carpi, Arma fu sostituito e cercò di rallentare le operazioni di sostituzione causando, solo per quello, i fischi (e forse qualche “buuu”) della Nord e di tutto lo stadio: fischi che, al di là del colore della pelle e della nazionalità del giocatore, sarebbero arrivati per chiunque si fosse reso protagonista di quel comportamento che l’arbitro non notò o decise di non sanzionare. L’Unione Sportiva Lecce fece anche un ricorso che non ebbe successo nonostante, con uno striscione esposto la settimana dopo a Bergamo in occasione di Albinoleffe-Lecce, la curva avesse preso le distanze da ogni forma di razzismo. 
Questo episodio, però, è solo una dimostrazione di come spesso si etichettino come razzisti degli atteggiamenti che razzisti non sono. Ovvio che, nel caso di cori o atteggiamenti a sfondo dichiaratamente razzista, si debba intervenire duramente ma attenzione a non costruire intorno ai calciatori di colore quella sfera di cristallo che li rende, agli occhi di tutti, intoccabili pena l’accusa di razzismo. Non è forse una forma di discriminazione trattarli diversamente dai “bianchi”?
Un altro discorso molto più complesso riguarda la goliardia che spesso è separata dal razzismo da un muro molto spesso ma invisibile agli occhi di chi in una curva non ha mai messo piede. 
Prendete un Lecce-Bari e tutti i relativi sfottò provenienti da entrambe le parti, prendete gli insulti dei leccesi a Cassano e dei baresi a Miccoli: sono razzismo, “discriminazione territoriale” o semplicemente sfottò e goliardia? Attenzione: se si decide di considerarli razzismo, li si equipara all’atteggiamento della curva del Verona che, in un lontano derby contro il Chievo del ’97, fece penzolare dagli spalti un manichino nero mostrando uno striscione con scritto “negro go away” o ai tifosi veneziani che, domenica scorsa, volevano esporre uno striscione con su scritto “Dopo Lampedusa? A casa tua!” che, per fortuna, è stato sequestrato prima della partita. 
Tornando al nostro Lecce-Bari o allo Juventus-Milan, gli sfottò (quelli che si ostinano a chiamare insulti a sfondo razzista) appartengono alla goliardia, quella che da sempre fa parte del calcio come i fumogeni, i tamburi e gli striscioni che qualcuno ha già provveduto a bandire. Spesso ci si ostina, soprattutto nei talk show televisivi, a voler dire che “lo stadio deve diventare come il teatro” per poter permettere alle famiglie di andarci. Io risponderei che lo stadio non deve diventare un teatro per poter permettere ai bambini di innamorarsi (e ai più grandi di non disinnamorarsi) ancora di questo sport e di questo mondo fatto anche (o forse soprattutto) di passione e goliardia. Il calcio è amore, passione, partecipazione, le curve sono fratellanza, condivisione e purezza: al teatro si è semplici spettatori, allo stadio si deve essere co-protagonisti dello spettacolo. 
Chi frequenta una curva sa che la politica (e quindi il razzismo, quello vero!) non può salire su quei gradoni per evitare di eliminare quella purezza che caratterizza la curva stessa. Peccato, poi, che le tifoserie organizzate debbano combattere, in continuazione e con ostinazione, contro chi vuole che lo stadio diventi
un teatro e forse si sente soddisfatto ed appagato quando vede una curva chiusa senza tifosi creando, inevitabilmente, il fenomeno degli stadi che continuano inesorabilmente a svuotarsi penalizzando, tra l’altro, anche chi fa del calcio un business.

 

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