Taranto – Un “dovere” una “necessità” e un'”impellenza morale”, sono queste le prime parole proferite dal presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, al termine dell’interrogatorio, durato quasi sette ore e che lo ha visto protagonista presso la sede della Guardia di Finanza di Taranto, nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva.
Il governatore è indagato, insieme ad altre 50 persone, con l’accusa di concussione. Lo scorso 30 ottobre, infatti, avrebbe ricevuto un avviso di conclusione delle indagini; da qui la volontà del Presidente di sottoporsi al lungo interrogatorio per chiarire la sua posizione. Nello specifico a Vendola verrebbe contestato di aver convocato una riunione il 15 Luglio 2010 durante la quale, alla presenza di assessori, esponenti politici, dirigenti regionali e i tecnici dello stabilimento Ilva, si sarebbe discusso di alcuni dati su sostanze tossiche rilevate dall’Arpa e molto sfavorevoli ai Riva, proprietari dell’impianto. Dati che avrebbero fatto inalberare Vendola, tanto che in un’altra occasione lo stesso avrebbe fatto pressioni su Giorgio Assennato, presidente dell’Arpa, per ammorbidire la sua posizione nei confronti delle emissioni nocive dell’impianto siderurgico.
Ad aggravare la posizione del governatore ci sarebbe uno scambio di mail con Giorgio Archinà, uomo di fiducia dei Riva, in una delle quali Vendola ribadiva che in nessun modo l’Ilva avrebbe dovuto subire delle ripercussioni.
Tutte menzogne, insiste, il presidente della Puglia, dinnanzi ai magistrati, con i quali ha ripercorso punto per punto tutte le intercettazioni telefoniche che lo riguardavano, spiegandone il significato.
“Gli equivoci – afferma Vendola – era giusto che fossero affrontati, guardati, che i sospetti potessero essere allontanati”.
Vendola, infine, si dice sereno, soprattutto per aver agito nel rispetto della città di Taranto, meritevole di amore e impegno e sentendosi gratificato per aver avuto la possibilità di chiarire la sua posizione.