Ci stanno rubando la notte: tra vuoto esistenziale e voglia di volare

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Ci stanno rubando la notte,
La notte ha la luce dei sogni
i sogni son desideri
armati di pazienza
e vestiti di nostalgia.
Molti credono di avere un talento
fenomenale,
pochi hanno il talento
di non prendersi
sul serio”

Sulla parete esterna di un casolare, all’interno di una masseria nei pressi di Torre Chianca, marina di Lecce, è dipinta questa poesia. È lì, che si offre agli occhi di chiunque la sappia apprezzare e lascia ad ognuno lo spazio di immaginarcisi dentro.

In fondo, ad ognuno di noi viene sottratto uno spicchio di notte. Che per notte poi si intenda uno spazio di riflessione, un letto su cui dormire, una guancia su cui sognare, un cielo stellato sotto cui piangere o sperare, non è così determinante. Nel disincanto di questo ladrocinio esistenziale, tentiamo di nascondere quei pochi sogni che ci fanno sentire vivi e che, se ci dovessero rubare, stracciare, smontare, farebbero crollare il senso di irrequieta stabilità che cerchiamo di costruire.

Un sogno è quel famoso “gancio in mezzo al cielo”, è una pioggia sottile che non ti bagna ma ti consola, è il faro durante la burrasca, è la promessa di tornare a casa.

Un sogno, quel sogno, è la forma più dolce e intima di coerenza verso noi stessi, la sicurezza di spiegare le vele e, lasciandosi trasportare da qualsivoglia vento voglia soffiare, ritrovarsi lì in quel posto sicuro.

Molti credono di avere un talento fenomenale, pochi hanno il talento di non prendersi sul serio. 

L’impegno incondizionato nella scalata per il successo, il paragone con il prossimo da reggere e vincere a costo di fingere ed ostentare sono palliativi che disegnano solo un’idea sfocata di felicità. La montagna più alta da scalare sono i pensieri che riempiono la stanza e non ci lasciano chiudere gli occhi in pace e serenità, lasciandoci abbracciare da Morfeo fra mille paure ed insicurezze che non abbiamo il coraggio di mostrare.

In un mondo che ci divide per categorie, che adotta una morale rigorosa per scindere ciò che annoverare come giusto o sbagliato, si salva chi, con umiltà, accetta di essere fragile ed imperfetto.