Lo incontro spesso, per le vie del paese. Ci salutiamo cordialmente, niente di più. Altre volte lo vedo accompagnare l’anziana madre, porgendole il braccio per sostenerla ed alleviarla della fatica del camminare.
Non avrei mai pensato che quell’uomo sulla sessantina fosse il custode dell’arte del restauro delle motociclette d’epoca, abilità che richiede sapiente maestria, pazienza e amore per le due ruote a motore d’altri tempi.
Per caso ho modo di parlargli mentre lui è intento nel controllo della verniciatura di una Vespa del 1960, di colore azzurro metallizzato.
E’ stupenda! – esclamo – e lui, compiaciuto di tale esternazione, richiama la mia attenzione sui particolari del restauro in corso. Mi indica le cromature, le sfiora con il dito come ad accarezzarle. Mi mostra sul banco degli attrezzi il motore, ancora da revisionare, smontato in più parti e giacente in un ordinato caos di attrezzi. Ho già capito che lui appartiene a quella generazione di meccanici dotati di memoria visiva che sanno esattamente orientarsi tra un mare di testate, bielle, pistoni e rintracciare anche la più infima rondella in un barile di viti, dadi e bulloni.
Lo sa, anche io sono appassionato di motociclette, d’epoca – gli dico -, più per rompere il ghiaccio ed entrare in sintonia con lui che per reale trasporto. Ecco che il suo volto cambia espressione: gli occhi stanchi dietro agli occhiali si accendono d’improvviso. E’ la luce della passione, so riconoscerla. Mi apre la porta del suo mondo: inizia a parlarmi di sé, della sua vita trascorsa lontano da casa e del lavoro di meccanico svolto per più di 40 anni presso una storica azienda emiliana di produzione di motociclette, prima di andare in pensione e tornare nell’amato Salento. Gli chiedo qualche consiglio su come serrare i bulloni dell’impianto frenante della mia moto, sull’effettiva necessità di usare la chiave dinamometrica e di attenersi scrupolosamente alle “coppie di serraggio” fornite dalla casa costruttrice. Sorride. Non ce n’è bisogno, mi dice ed aggiunge: “Aggiu ‘mpanatu milioni te bulloni intra la vita mia e nu bbe successu mai nienzi”. Mi sento come un garzone di bottega al primo giorno di lavoro. Poi il discorso scivola sulle moto d’epoca: iniziamo disquisizioni più romantiche che tecniche sul Guzzi “Falcone”, sulla Gilera “124”, sul Morini “Corsaro”.
Sembriamo due vecchi amici che con la mente percorrono insieme tortuosi sentieri di montagna in sella ai loro fidati destrieri a due ruote prima di giungere al motoraduno e incontrare altri appassionati, bere birra e raccontare le solite storie sulla solidità meccanica tedesca piuttosto che sulla performante precisione nipponica dei “quattro cilindri” del Sol Levante.
Potremmo continuare per ore a parlare ma il suono improvviso di una campanella mi ricorda che è finita l’ora di scuola e che mio figlio è lì che aspetta con in mano lo zainetto e mi richiama alla realtà. Ci salutiamo cordialmente e nel contempo gli strappo una promessa: voglio vedere quest’opera d’arte finita, gli dico. Lui annuisce.
Sembrerà strano ma anche in un paese come Novoli, tradizionalmente e storicamente votato alla cultura rurale, alla viticultura e alle sacralità religiose famose in tutto il mondo vive una professionalità d’altri tempi, per certi versi romantica, discreta, silenziosa.
Buona strada: Lamps!
{loadposition addthis}