Si specchiò nell’acqua scura del piccolo pozzo di campagna. Il sole stava calando tra le piante di vite, ormai povere di frutti. L’autunno salentino, lento e caldo, aveva afferrato i raggi di quel sole rosso, e ne aveva fatto dono ai contadini che erano pronti per la vendemmia. Francesca di tanto in tanto seguiva il nonno, che era il padrone di quell’immenso fondo somigliante al giardino della sua favola preferita da sempre: ‘La bella e la bestia’. Una storia dove trionfa l’amore vero, una storia dove non importa che la bestia diventi principe, se non per liberarlo della sua solitudine. Dove ci si può innamorare della bestia per come è. La bestia era stupenda e lei ancora una ragazzina sognante.
La campagna era compresa in un perimetro enorme, il cancello arrugginito, un bel viale di pietre e terra dove i rosai si tenevano per mano come a formare una fila di bambine delicate e tenere. E di tutti i colori, simili ad un fresco arcobaleno.
Alla fine del vialetto, leggermente spostato sulla destra, c’era il pozzo di pietre vive dove Francesca racchiudeva i suoi segreti meglio che in uno scrigno magico. Da lì iniziava un perfetto rettangolo di filari paralleli che in estate, quando le piante erano rigogliose, costruivano un tetto di casa buia e un po’ inquietante.
E lei ci vedeva l’anima triste del mondo, che vive in ogni cosa.
Come i binari, quei filari gemelli non si sarebbero incontrati mai. Come certi destini.
Eppure i rami tentavano un approccio, eppure per qualche giorno si sfioravano in un’estrema, audace probabilità di unione. Si tendevano arricciandosi, come manine di neonati, fragili, lucide, commoventi.
Poi arrivavano i contadini e tagliavano l’uva, senza curarsi della solitudine di quei fili simili a ricami verdi che erano i prolungamenti teneri con cui i rami lusingavano una vita finita ancor prima di cominciare.
Fu lì che Francesca conobbe Luciano.
Un ragazzino dagli occhi verdi e i capelli ricci e chiari, e dal sorriso triste.
Il nonno le disse che era il figlio di uno degli addetti alla vendemmia, e che viveva solo col padre perché la madre era andata via, a causa di una brutta malattia che aveva fatto tanto soffrire tutti loro.
Lei era poco più di una bambina ma di fronte a quegli occhi imparò in un attimo la dolcezza e la grandezza dell’essere donna. Fu come se le emozioni di lui fossero sue, come se penetrassero nel suo corpo e lei ne sentisse peso e malvagità.
Voleva chiedergli della madre, voleva colmare le sue notti di preghiere e sofferenze, abbracciarlo e non dimenticarlo mai, accarezzargli le frustate che la vita gli aveva già assegnato, e lenirle con l’immenso senso di protezione che provava per quel ragazzino triste che in una frazione di secondo era entrato nell’anima sua. Voleva ridargli la speranza degli innocenti. E la forza di un nuovo inizio.
Ma non disse una parola. Lui la guardò, e lei in quel momento entrò pure nel suo cuore. Ne sentì i battiti e il dolore. Ne sentì l’amore.
Le sembrò di vedere una lacrima brillare all’ombra di quel sole morente che li accompagnò in quel primo, intenso incontro. Di chi era quella lacrima? E Francesca la vide davvero negli occhi di Luciano o in quelli del mondo che girava intorno a loro e non si sarebbe fermato mai?
Lo sai anche tu, vero? Te lo avranno detto.
Tacquero entrambi per un momento.
Non sarò felice mai più, disse lui. Non senza di lei. Non doveva lasciarmi, non potrò perdonare mai né lei né Dio.
Una fila di non. Non non non.
Un sentimento d’odio sull’orlo di esplodere irrimediabilmente.
Ebbe paura ma gli porse la mano, lo portò vicino al pozzo.
Si affacciarono senza timore su quella sorgente buia, e si specchiarono.
Vedi i miei occhi come diventano grandi e belli, se li guardiamo sullo specchio dell’acqua?
I tuoi occhi sono belli anche solo se li guardo coi miei, rispose lui.
Ma nel pozzo diventano del colore del cielo. E grandi quanto in realtà non sono. E poi cambiano, fluttuano, si allargano, si deformano. Ma sono sempre quelli che tu vedi con i tuoi.
Dimmi, Francesca, dimmelo.
Lei comprese, sincera e pura.
Non conosco le risposte. So che l’aria diventa vento, e il giorno notte, e gli occhi ridono e poi piangono. So che tua madre non ti lascerà mai. Tua madre era amore, e l’amore è una cosa che non si tocca. E se non si tocca vuol dire che non ha corpo, dunque non muore. Vieni, Luciano, è quasi buio ormai.
Si presero per mano, avvolti dall’odore di uva spremuta, e camminarono lungo il viale delle rose. Fu lì che lei lo guardò con i suoi occhi colore del cielo, e lo baciò lievemente sulle labbra. Nessuno dei due sapeva quanta strada avrebbero potuto percorrere insieme. Né quanto sarebbe stata faticosa. Erano solo due bambini che si erano riconosciuti e che andavano verso casa. Seguiti da un luminoso spicchio di luna nuova.
{loadposition addthis}