Le mani dell’amore

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1820

La luce accecava gli occhi in quel maggio lontanissimo.
La terra era diventata un tappeto verde e rosso, le ciliegie erano pronte per ristorare il palato degli uomini.
Non ci fu un solo giorno di nubi, solo cieli azzurri.
Di sera le cicale cominciavano a frinire, impazienti di vivere un’estate lunga e magica.
Il letargo era finito da un pezzo e ogni segnale della natura gridava a gran voce la gioia e la frenesia di poter ricominciare. Tutto era un inno alla vita. Quasi tutto.
La mamma era stesa su un letto eterno. Rosanna la ricordava così, le sembrava che fosse stata sempre distesa su quel giaciglio di dolore. La mamma era molto malata e non aveva forza di fare la mamma. Non c’era già più. Non c’era da tanto.

E non c’era nessuno. Perché quando da bambina ti manca la mamma, non sai che fartene dei surrogati.
Era maggio quando se ne andò per sempre.
Abbandonò la sua bambina e il suo bambino, due misere esistenze strapazzate da eventi troppo duri da comprendere, due anime da ricostituire, da rifondare, da far rinascere.
Il papà aveva mani grandi e forti e il giorno dopo un funerale straziante e osceno nel dolore, prese per mano i suoi bambini e promise loro che sarebbero stati uniti per sempre, non considerando che non si possono fare promesse che non si è certi di mantenere.
Li prese per mano e si inventò una nuova vita. Voleva fare il padre, la madre, l’amico, il confidente.
Convogliò addosso alle sue spalle stanche un enorme carico di impegni volti a restituire progetti e speranze.
Ma era solo un uomo sommerso da un’onda anomala e infinita, che annaspava alla ricerca di una via di fuga da una realtà mai immaginata e apocalittica.
Mille e mille sere aveva preparato con cura il minestrone, mille favole aveva imparato a leggere, mille carezze aveva ricamato sulla pelle di quei due bambini tristi.
Le mani ruvide si trasformarono in lievi tocchi d’angelo, in armi da difesa, in guscio protettivo.
Ma non bastarono mai.
E l’esistenza trascorse, attimi e anni tutti uguali, cieli lindi e rabbiosi si inseguirono senza sosta e senza moto. I pensieri pesavano e i sorrisi faticavano a nascere su visi disillusi.
Rosanna trascorse così gran parte di adolescenza e prima giovinezza, con un logico senso di vuoto.

Poi, molti anni dopo, arrivò l’Amore.
Gianfranco.
L’amore arriva nella vita come un regalo inatteso, come un fuoco che brucia il passato, ti aspetta dietro una porta chiusa, mentre vivi e non riesci ad andare via.
Non c’era molto nei suoi giorni grigi, ma aveva una lontana idea di amore.
Lontana e pure forte, ben piantata nell’anima; dunque lo riconobbe subito.
Anche lui aveva mani grandi e forti come quelle di suo padre; anche lui le promise che non l’avrebbe lasciata mai.
E furono anni felici, notti di stelle e palpiti di cuore, sere d’amore e di parole, di progetti e sogni.
Un matrimonio da favola, un calore immenso, la Felicità e tutte le promesse mantenute.

L’amore come un fatto di fede, l’amore che tutto restituisce.
Ebbero due splendide bambine, ebbero quello che avevano sempre voluto.
Nulla turbò quell’equilibrio perfetto che durò per un po’ di anni, buoni per accumulare ricordi felici, un corredo che pensavano infinito di istanti da custodire nel cuore.

Poi il meccanismo si bloccò.
Le mani di Gianfranco, quelle delle promesse mantenute, tradirono entrambi.
Cominciarono a perdere la presa, non sorreggevano più come una volta.
Nessuno di loro poteva prevedere ciò che poi accadde.
Nessuno di loro sapeva cosa fosse la SLA.
Prima l’intontimento che ti prende a pugni e ti stende, poi l’idea che tutto possa essere un errore madornale da ricacciare indietro con sdegno e sorrisi.
Poi le notti di lacrime, preghiere e patti col diavolo.
Ore lunghe di rabbia e forza, di pece e inferno.
E ancora le mani, questa volta tese al Cielo a strappare con la volontà un miracolo a cui non ha creduto mai nessuno di loro.
Un travaglio che è ottundimento, che è follia.
Da combattere con ogni mezzo.
E la vita che riprende a piccoli passi, tanto l’ombra oscura è solo una parola.
“Non aver paura, Gianfranco, ci sono io con te. Non lasciare andare la tua voglia di essermi al fianco, ho bisogno di te. Sì, IO ho bisogno di te. Viviamola questa nostra vita, come frammenti di un immenso progetto misterioso e incomprensibile che continuerà ad avere il senso primitivo, un senso che ha usato solo parole e gesti d’amore.
Cosa importa se le tue mani non potranno sorreggermi? Mi sorreggerà il tuo respiro.
Il mio sguardo non lascerà che l’ombra scenda sul tuo volto, nessuna bruttura turberà il nostro cammino e qualsiasi fine il destino scriverà sulla nostra storia d’amore, ci troverà vicini.”

Solo parole d’amore. Per sempre.
Sorride spesso Rosanna al suo Gianfranco, sorride alle sue figlie e a volte piange.
Piange lacrime di intenso dolore e di straordinaria gioia.
Accanto al letto matrimoniale dove dorme con le sue bambine ha posizionato il letto “speciale” di Gianfranco.
Di notte, quando i pensieri neri tentano di sconfiggerla, si alza, guarda in silenzio le sue tre creature, rimbocca loro le coperte, li accarezza con gli occhi e ritorna a letto tenendo stretta al cuore la mano di lui.
Sorride ancora perché sa che loro quattro insieme sono felici anche così.
E invincibili, qualunque cosa accada.
“Sognate solo cose belle, amori miei….”
Poi spegne la fioca luce e inizia a sognare anche lei.

Questa storia è dedicata a te, Rosanna, per dirti grazie del tuo straordinario esempio d’amore.

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