Ho dovuto viaggiare molto per arrivare dove sono adesso. Ho attraversato oceani, mari, boschi, interi continenti. Ho conosciuto il freddo, le temperature tropicali, le culture di tutti i posti da cui son passato.
Non ho più limpida l’idea di casa mia; la ricordo in modo sfumato e confuso. Mi vengono in mente flash di vita brevi, accompagnati da emozioni alla rinfusa, attimi di felicità sfuggente alternati a momenti di strazio e dolore.
Ho solo diciassette anni e ho dovuto viaggiare molto per arrivare dove sono adesso.
La tua mamma è una donna forte; ogni giorno andava a prendere l’acqua dal pozzo per tutta la comunità e faceva tanta strada pur di garantire da bere per i più. La tua mamma ha gli occhi color nocciola, un sorriso meraviglioso che sfoggiava ogni secondo della sua vita: quando avevo i morsi della fame lei riempiva il mio corpo del suo amore.
E non è vero che l’amore, in ogni sua forma, non ti fa vivere. Quei sorrisi sono stati la forza che mi ha portato fino a qui.
Papà non lo ricordo più. Era un uomo dedito al lavoro, non passava tanto tempo con me, non c’era quasi mai. Eppure non finirò mai di dirgli “grazie”. Ogni cosa fatta, è stata fatta per noi. Tu non lo sai, ma è così.
Quando ero piccolo giocavo per le strade di brecciolina con una palla di stracci e leggevo ogni libro che trovavo per terra. Nonna, la più anziana del villaggio, sapeva leggere e mi aveva fatto il dono di poter imparare a “sentire” con gli occhi.
I libri sono stati la speranza di un futuro migliore. Non ricordo, quando, di preciso, ho dovuto prendere la mia palla di stracci ed il mio libro preferito e scappare via da casa mia. Quel giorno lo ricordo come il più brutto della mia esistenza. Ho dovuto viaggiare tanto per arrivare dove sono adesso.
Mamma piangeva e correva verso di me, che ero su un camion vecchio e sgarrupato, con altra gente del villaggio; forse ero il più piccolo, sicuramente il più solo di tutti. Mamma non salì mai su quel camion. Ti persi nello stesso modo. E papà, la nonna, non c’erano più.
Ero solo e seguivo gli altri.
Camminammo nel deserto, attraversammo città ricchissime, completamente diverse dalla nostra. Prendemmo una barca e partimmo per non so quanto tempo. Non conoscevo la meta, non sapevo il perché di quella partenza; mi sentivo perso. Avevo circa sette anni e non avevo niente. La mia palla, il mio libro e i miei ricordi. La mamma mi lavava spesso, abbracciandomi, spremendo delle erbe per farmi essere profumato. Credo usasse un tipo di menta. Quanto mi mancava quell’odore quando ero sulla nave. Il mio piccolo corpo mal odorava, ero sporco, i miei vestiti erano imbrattati e rovinati, le pagine del libro erano diventate color della pece.
Mi sentivo disperato. Ma tu non piangere per me.
Dopo tutti quei viaggi mi sono ritrovato qui. Questo posto non è casa mia ed è completamente diverso. Pare tutti abbiano tutto. I bambini non giocano con palle simili alla mia e hanno scarpe per correre e vestiti diversi ogni giorno. Le mamme tengono i bambini per mano e con l’altra usano strani oggetti. Li chiamano telefoni e ho sentito dire ti mettano in contatto con gente dall’altra parte del mondo.
Io vorrei averlo ma anche lo avessi non saprei dove chiamare. La mamma non ne ha mai avuto uno. Qui non c’è nessuno che mi lavi, a volte credo di essere invisibile per tutti; non mi guardano, i loro occhi sono distratti, celeri, spenti. Non c’è l’amore. O non ce n’è per me. E io senza amore non so vivere.
Abito in una comunità per minori senza famiglia, arrivati da paesi in difficoltà. Mi danno un letto, un tetto, un pasto. Mangiano tantissimo qui ed i letti sono soffici; la comunità è grandissima. E ci sono le scuole, tante scuole coi banchi, con le sedie. Ci sono migliaia di libri, ed insegnanti e corridoi … E la scuola è chiusa, costruita col cemento. Se vuoi l’acqua ci sono le macchinette con le bottiglie. Non devi arrivare sino al pozzo. La mamma ne sarebbe felice. La nonna avrebbe potuto leggere molto di più.
Ma qui sono solo e loro tutto questo non lo sapranno mai.
Non so perché mi abbiano lasciato andare via, forse per garantirmi un futuro migliore, forse per darmi di più, probabilmente perché non avevano abbastanza per farmi vivere. Ora ho tutto. Tranne voi. E mi sembra di non avere assolutamente nulla.
Ma non piangere per me.
Tu sei il fratello che sarebbe nato di lì a poco. Ora dovresti avere dieci anni e probabilmente starai giocando con una palla di stracci per le strade di quel paese che non ricordo più. Provo ad immaginarti, sarai sicuramente bellissimo e saprai leggere anche tu. Sai, la notte sogno te e la mamma, mentre ti accarezza con la menta per lavarti, ed io, durante il sogno, respiro, respiro e respiro così tanto profondamente che mi sembra di essere li, insieme a voi.
Non so dove ci porterà questa vita, se un giorno ci incontreremo lungo la strada e saremo in grado di riconoscerci. Non so cosa aspettarmi dal futuro, né quanto ancora viaggerò e dove andrò a vivere. Ma mi sento meno solo perché so di avere te, da qualche parte. Tu, mio fratello.
Non piangere per me, ci ritroveremo insieme, vicini, felici, in qualche splendido sogno.
Guarda la luna. Io sono lì, accanto a te.