Conobbi Giusy in una calda mattina primaverile, in un prestigioso negozio d’abiti salentino. Avevamo tutte e due tra le mani un elegante abito da cerimonia ed attendevamo pazientemente qualche suggerimento da una commessa, quando i nostri sguardi s’incrociarono per la prima volta, carichi d’intesa: da quel momento cominciammo a ridere ed a scherzare sul nostro da fare quotidiano, come se ci conoscessimo da una vita. In pochi minuti avevamo apprezzato l’una le doti dell’altra, sembrava ci conoscessimo da sempre e, prima di effettuare il pagamento alla cassa, ci scambiammo persino i numeri di telefono, con la promessa che ci saremmo riviste presto per una chiacchierata davanti ad una tazza di tè.
Ad oggi ho rivisto e sentito più volte Giusy, ormai conosco molto della sua vita e questa storia, che sto per raccontarvi, l’ho trovata significativa e ricca di spunti di riflessione, visto che viviamo in un tempo in cui la speranza e la fede valgono sempre meno a causa del progresso, della crisi e dell’impoverimento interiore dell’uomo.
Ho deciso di riportare le stesse parole di Giusy, dal momento che me ne ha dato facoltà.
«Nel 1993 ero in attesa del mio secondogenito, Ismaele, un nome che avevo a cuore sin dall’inizio perché significa: Dio ti ascolta. In quell’anno il rapporto con il mio ex marito era in crisi, non eravamo d’accordo su nulla, tanto meno sul nome di nostro figlio; dalla scelta del nome e dagli eventi a ciò collegati ha preso forma la mia convinzione che la mia vita, nella fattispecie, era nelle mani di un piano divino.
All’ottavo mese, a causa della rottura precoce delle acque e di vari ritardi medici, ho rischiato seriamente di lasciare questo mondo assieme a mio figlio. Prima di essere sottoposta al parto cesareo, sono stata ricoverata tre giorni in terapia intensiva e, a causa di questo, il mio ex marito mi ha lasciato la libertà di dare a nostro figlio il nome che preferivo. Il giorno dell’intervento, il 2 Agosto, mi sorpresi ad ascoltare musica in sala operatoria. Ricordo ancora che mi fece un certo effetto sentire le parole della canzone di Eros Ramazzotti “Una terra promessa”. Ma la cosa più toccante, e che mi ha fatto credere che nulla accade per caso, è quello che ho vissuto sotto l’effetto dell’anestesia.
Mi ritrovai in un tunnel bianco con striature blu; mentre m’incamminavo verso una forte luce, calda ed estasiante, che donava serenità, sentivo un forte suono di trombe. Avvicinatami alla luce, sentii un uomo che mi diceva: ”Stavolta l’hai scampata, la prossima no. Io sono l’Alfa e l’Omega: colui che era, che è e che viene…”
L’intervento andò bene, mio figlio nacque sano e, dopo pochi giorni, tornammo a casa, “restituiti” alla nostra quotidianità. Per tre anni cercai di capire quelle parole, ma nessuno mi dava ascolto o mi tranquillizzava, dicendomi che si era trattato solo di un sogno.
Ho dovuto attendere prima di poter comprendere, sempre “per caso”, il significato e la provenienza di quelle parole… Il primo Gennaio del 1996 mi incontrai con Ada, una vecchia amica, per un caffè. Andai a trovarla a casa per gli auguri e notai sul tavolo una Bibbia. Prima di allora, non l’avevo mai né letta né vista e m’incuriosì tanto il fatto che la mia amica la leggesse ogni giorno, che le chiesi di leggermi un versetto a caso. Quando le sentii recitare le stesse parole che avevo sentito durante l’intervento, non riuscii neanche a farle terminare la lettura, perché scoppiai in lacrime: era un versetto dell’Apocalisse.
Quell’indimenticabile giorno scoprii per puro caso la mia verità, una verità toccante che mi ha fatto sentire come una prescelta del Signore. Da allora cominciai a leggere la Bibbia, a credere che niente accade per caso e che tutti coloro che ci circondano, nel bene o nel male, fanno parte del grande disegno divino; mi convinsi che, in un certo senso, siamo “guidati” da una forza invisibile e più forte della nostra volontà.
L’aver incontrato Ada, il sentire quel passo della Bibbia, lo scoprire che eravamo ricoverate nello stesso ospedale, in quanto abbiamo dato alla luce i nostri figli a distanza di due giorni, e che entrambe abbiamo dato loro nomi biblici, mi fa ancora accapponare la pelle.
Tutto mi fa pensare che ogni evento faccia parte di un piano. Anche adesso, che mi ritrovo qui con te, a parlare della mia vita, penso che questo sia voluto dall’alto, perché la mia piccola storia sia d’esempio o semplicemente doni speranza a tutti coloro che leggeranno il tuo racconto».
Vivere come automi, fare tutto meccanicamente e non sperare più, non credere a nulla è causa dell’insofferenza e dell’egoismo dell’uomo odierno. Chi, invece, si appiglia alla fede e crede che un’entità superiore “provveda” per tutti, vive più sereno, senza paure, ansie ed incertezze e dona serenità e sorrisi sinceri al prossimo nella stessa maniera della mia amica Giusy.
A questo punto resta a noi la scelta: dobbiamo credere che ogni nostro passo sia già stato segnato? O si tratta solo di “strane e ripetute” coincidenze?