Eravamo piombo e cera, infinito e merda, invenzione e realtà.
Il tempo ha dato le sue risposte, i contorni sfumati sono diventati netti e tutto è apparso nella sua vera dimensione.
Quello che abbiamo vissuto è stato splendido.
Siamo cresciuti lentamente, con pigrizia, scaldati dal sole che splende sulla nostra arida terra, arida nelle zolle ma non nel cuore, terra di grande passione e contraddizioni.
La musica è stata eterna compagna, insieme agli odori forti, inebrianti e indimenticabili di quella lontana primavera.
Il mare di Porto Cesareo, unico al mondo e nel mio cuore, celeste e blu come mi immagino il cielo del paradiso; la spiaggia infinita, bianca, lieve come una carezza: questo solo uno degli sfondi, il mio preferito.
Le barche dei pescatori tornavano all’alba dall’orizzonte nitido, con le loro facce incartapecorite, il sorriso sincero della gente del Sud, dei semplici del mondo, quelli senza grilli per la testa, lavoro, sudore, famiglia.
E poi noi al tramonto, quando la sfera perfetta scendeva lentamente a fondersi col mare, noi mano nella mano, in silenzio, occhi negli occhi, un’anima sola, noi viandanti solitari, senza pensieri per non sciupare l’amore, senza domani per renderlo eterno, senza passato per renderlo innocente, noi attimo infinito …
Un lungo ciuffo di capelli scendeva sull’occhio sinistro, quasi a coprirmi metà viso. Vergogna?
Il freddo di gennaio penetrava classicamente nelle ossa, lui aveva acceso il fuoco nel camino e il calore mi avvolse subito, consolandomi; un calore universale, quello della legna che ardeva e quello dell’amore che io leggevo negli occhi di lui, un amore che impregnava il mondo e univa in un unico abbraccio.
Niente parole, solo baci, di quelli che ti mangiano, per saziare una fame ancestrale. Baci profondi da soffocare, baci languidi di amanti impazienti, baci forti di padre a figlia, baci d’amore …
E poi il resto, vissuto in un quadrato dai forti confini per non essere contaminato e da non contaminare l'”altra” vita, serrato in un minuscolo spazio della mente, dell’anima e del cuore.
“Ti chiedo solo di lasciarti amare, senza confini. Ti chiedo solo di lasciarti andare, perché io possa entrarti dentro e trovarmi nel tuo cuore”
Questo voleva da me, così mi aveva scritto.
Ma cosa significava in realtà?
Davvero l’amore non deve avere confini? Quale amore?
Il nostro …
Andammo via, ognuno per la propria strada, immaginai il fuoco morire nel camino lentamente, consumarsi nelle ore successive al nostro incontro e quella cenere rimasta mi fece una pena infinita….avevo voglia di tornare in quella casa, toccare quella cenere, farla vivere ancora e mi sorpresi della stupidità di quel pensiero e di quel desiderio.
Mi svegliai felice, ero stata come sempre con lui.
Mi addormentavo con lui, mi svegliavo con lui.
Lo portavo continuamente con me, mi sentivo portata continuamente con lui.
Le mie cellule erano divenute doppie: le mie e le sue.
Ero dentro di lui, era dentro di me, sempre.
Nacque così, come nasce un fiume, dall’alto del monte, nasce e non sa cosa sarà della sua vita, proprio come succede ad ogni creatura, ad ogni storia, ad ogni amore.
Il fiume scendeva, e nel cammino, si arricchiva di numerosi piccoli affluenti, che unendosi ad esso, lo rendevano invincibile, forte, impetuoso, puro.
La velocità del fiume era vertigine, il nostro amore era vertigine.
Domande mai, domani mai.
Come mostri senza cervello, come rugiada incontaminata, come steli al vento.
Ti ho regalato le mie ferite, come l’ultima cosa preziosa che mi sia rimasta.
Ho urlato il tuo nome fino a riempirmene la bocca, ho contato i minuti uno ad uno con un’ansia terrificante, ho ascoltato i battiti del cuore, rallentandoli per farli durare di più, ho lottato con una nostalgia pesante come una pietra ogni volta che ho avuto paura di perderti, ho esercitato la memoria per renderla eterna, ti ho immaginato mentre vivi senza di me, pur avendomi.
E mentre mi vedi nel volto di un’altra donna e mentre mi vedi quando fai l’amore con un’altra donna.
Quando è finita la purezza?
L’amore cambiava nome.
L’amore diventava follia.
Toglieva il respiro, colpiva la vita, la annientava.
E diventava morte.
Per continuare a esistere in qualche recondita forma fu necessario ucciderlo.
Quell’infinito Amore mio.
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