Lo conobbi per caso, anche se sono sempre più convinta che nulla accade per caso.
Stavo facendo la mia solita corsetta mattutina in una calda giornata di marzo quando, quasi come in una scena di un film, mi scontrai con un giovane alto che correva nella direzione opposta e che non riuscii ad evitare perché, per una frazione di secondo, mi ero voltata indietro per controllare se stesse passando qualche macchina.
Mi ritrovai con il sedere per terra, senza l’mp3, perché per via della caduta era volato nell’erba, e con nella testa tanti punti interrogativi.
“Ti sei fatta male?” mi disse un giovane sulla trentina che mi tendeva la mano per alzarmi.
Sicuramente rossa in viso per l’imbarazzo, ricordo che mi alzai da sola e gli risposi frettolosamente che non si doveva preoccupare. Misi le mani davanti in segno di scusa e in quel frangente i miei occhi incrociarono i suoi, un paio di occhi neri, intensi, dalla forma orientale, ossia un po’ allungata.
Rimanemmo un secondo occhi dentro gli occhi. Non so se lui provò lo stesso colpo all’anima, ma ciò che sentii in quel momento è difficile da descrivere. In un attimo solo sentii caldo, freddo, gioia, tristezza, confusione ed euforia. Senza dirci più nulla, ripartimmo per la nostra strada, ma con gli sguardi che volevano dire tanto:
Scusa, Grazie, Che bella persona, Ti rincontrerò? Perché non ti ho mai visto sino ad oggi? Potevi fare più attenzione? E così te ne vai?
Ripresi la mia corsetta tutta dolorante e trascorsi la mia giornata con la testa fra le nuvole, con in mente sempre quegli occhi.
L’indomani lo rincontrai, ci salutammo con un sorriso e proseguimmo con la nostra corsa. Dopo circa una settimana non lo vidi più. Giorno dopo giorno cominciai a rassegnarmi all’idea che non l’avrei mai più rivisto. Cercai di cancellare il pensiero che potessi piacergli un po’ e che presto l’avrei rivisto, perché forse la sua assenza era dovuta al fatto che fosse ammalato. Continuai la mia vita di sempre. La mia vita tediosa, monotona sempre alle prese con la casa, gli amici e lo studio. Mi mancava l’amore. Non è che i pretendenti mancassero, ma nessuno mi faceva battere il cuore ed evitavo di soffrire e far soffrire.. Quel tipo invece… quel ragazzo dagli occhi neri e profondi aveva toccato la mia anima solo con uno sguardo.
Ogni volta che pensavo a quegli occhi mi arrabbiavo con me stessa: a causa del mio carattere timido ed introverso non ero riuscita nemmeno a chiedergli come si chiamasse.
Alla fine alleggerivo il mio senso di tristezza ripetendomi che doveva andare così, perché, alla fine dei conti, neanche lui aveva fatto nessun passo o cenno.
A metà maggio l’estate fece improvvisamente capolino, offrendo a tutti coloro che hanno la fortuna di vivere nel Salento la possibilità di prendere il primo sole e, ai più coraggiosi, quella di fare i primi bagni al mare. Io e la mia migliore amica Marzia decidemmo di andare al mare, non solo per abbronzarci un po’, ma anche per fare il primo bagno. Non eravamo molto propense alla seconda cosa e i nostri amici lo sapevano così bene che, più che certi di vincere, avevano scommesso cento euro che non avremmo fatto il bagno.
Eravamo tutti e quattro nell’Audi A3 di Giacomo; la macchina procedeva sui cento all’ora, si rideva, si facevano ipotesi varie su chi avrebbe vinto la scommessa. Di tanto in tanto guardavo affascinata la varietà delle forme degli ulivi che caratterizzano il percorso che dai paesi porta al mare, rivedevo quegli occhi neri e mi veniva un tuffo al cuore.
Appena arrivammo a Porto Cesareo, non ci stupimmo nel vedere che tanta gente aveva avuto il nostro stesso pensiero… Lasciammo le nostre cose su una spiaggia libera ed io e Marzia, molto decise a vincere la scommessa, corremmo in acqua e ci tuffammo, lasciando i nostri amici basiti. Nuotammo pochissimo, non per il freddo, ma perché qualcuno un po’ più in là chiedeva aiuto. All’inizio pensammo fosse uno scherzo. Ad un metro da noi si vedeva un groviglio di braccia che sembrava stessero salutandoci e che fingevano di andare giù. Poi, ad un certo punto, io e Marzia cominciammo a sospettare che non stessero scherzando quei due ragazzi. In effetti, in quel tratto di mare era risaputo che vi fossero parecchie buche e i due ragazzi, non sapendo nuotare bene, stavano andando effettivamente a fondo. Riuscimmo a salvarli per un pelo. Il giovane al quale offrii il mio aiuto, afferrandolo da sotto le braccia, aveva un non so che di familiare e, solo quando riuscimmo, aiutate da altre persone, a portarli a riva, lo riconobbi.
Tuffo al cuore, colpo all’anima. Era il tormento della mia mente: il giovane dagli occhi neri. Era là, seduto sulla sabbia che mi guardava con riconoscenza. Questa volta non volevo sfuggire al destino. Non potevo. Gli sorrisi. Lui mi ringraziò dicendomi ironicamente: “Posso sapere ora come ti chiami?”
“Ovvio. Però prima fai un bel respiro e ferma i tuoi occhi nei miei!”
“Perché?” rispose arrossendo.
“Perché non sai cosa avrei dato per guardarti ancora negli occhi. Ora che ti ho trovato e ti ho…salvato… non ti lascio scappare senza dirti che, per rivedere i tuoi occhi neri, non so cosa avrei fatto!”
Da quel momento in poi non ci lasciammo mai più. Ancora oggi stiamo insieme e ci ritroviamo spesso a sorridere, pensando a quel destino che all’inizio sembrava avverso nei nostri confronti, ma che, invece, si è solo divertito a farci capire cos’è l’amore e quanto la forza di quest’ultimo sia in grado di aprire tutte le porte e farci incontrare su tutte le strade.
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