E’ seduta sullo stretto balcone in pietra di una vecchia casa a due piani.
Il corpo è in direzione destra, il volto girato a sinistra. Ha lo sguardo fisso verso un orizzonte che si può solo intuire, prigioniero di altre case e di altri balconi.
La strada è stretta, si vede il cielo.
Ha i capelli nerissimi, lunghi e ricci, il rossetto rosso fuoco sulle labbra sottili; l’ho vista altre volte, l’ho vista giù in strada: è magra, usa tacchi altissimi e i suoi pantaloni sono tanto stretti che non lasciano nulla all’immaginazione.
Non passa inosservata, non in questo paesino di campagna dove la gente si nutre di parole vuote come il fumo e come il fumo dannose.
Ha un portamento dritto e fiero, è giovane ma non saprei darle un’età precisa, porta sempre gli occhiali scuri, anche quando piove. Non saprei dire perché.
Non parla con nessuno, non saluta nessuno, non guarda nessuno.
E’ quasi l’imbrunire di un giorno autunnale quando l’aria frizzantina invita al ritorno a casa e il pensiero pregusta un’intimità calda e accogliente tra quattro consolanti mura.
Lei è già in casa, anche se è seduta sul balcone.
Anche se non è casa sua, comunque ha un tetto che le dà riparo e calore, ma non è casa sua.
Continua a guardare a sinistra, ma cosa c’è a sinistra oltre l’orizzonte prigioniero?
Guardo anch’io ma non vedo niente.
I bambini sono scalzi, vestiti di stracci e col naso sporco; sono in tanti e inseguono un pallone bucato su una strada polverosa e senza asfalto, ai cui lati si snodano alcune costruzioni basse e sgangherate, tutte uguali.
Coi bambini ci sono cani rognosi e stanchi, randagi vecchi quanto il mondo, e galline e capre barbute e qua e là un maiale. ( Nessuno si cura degli animali.)
Sugli usci delle case, talvolta, compaiono donne vecchie, senza sorrisi e senza denti, capelli bianchi, rughe profonde, un fazzoletto sulla testa annodato alla turca, un grembiule per proteggere un vestito logoro ma essenziale come l’aria, perché è l’unico pesante e si avvicina l’inverno che sarà durissimo come sempre.
Una delle vecchie indugia sulla porta, chiama due bambini, ma lo fa a bassa voce perché non la sentano e restino ancora un po’ a giocare, così che lei possa guardare oltre.
Oltre le montagne, oltre le nuvole e l’azzurro, oltre la strada, il mare, le distanze, il tempo, il sogno e l’incubo.
Guarda a ieri, quando era figlia e poi moglie e poi madre.
E’ mai stata felice? Non lo sa, ricorda solo di aver sorriso tanto, quindi forse sì, è stata felice.
Smettila di pensare, Lydia, chiama i bambini, il brodo di carote è pronto e c’è pure un po’ di latte.
Lydia resta lì, inchiodata sul battente rotto del suo ingresso e continua a guardare…..
Il pianto della ragazza si era fatto sommesso, le energie erano venute meno come le lacrime infinite che avevano accompagnato il suo dolore immenso. Non c’era scelta. NON C’ERA SCELTA!
Diglielo al cuore che non puoi scegliere, dillo, gridalo, urlalo.
– Cosa lasci? Un paese in rovina, una casa che è un rudere, un portafogli vuoto come il futuro…vai Angela, qui non c’è niente.
– Ma come niente? Qui ci sei tu mamma, ci sono i miei bambini, ci sono le nostre croci fissate nelle zolle del cimitero. Perché, mamma, perché?
– Ogni sera guarderò oltre il muro che ci tiene lontane, te lo prometto. No, non so dov’è l’Italia, non so, ma Ottavio dice che laggiù lavorerai, che potrai stare bene, essere felice, provvedere ai tuoi bambini anche se da lontano; e poi tornerai, il tempo passerà in fretta e staremo ancora insieme senza lacrime, senza fame, senza freddo. Sorridi, figlia mia, è la cosa giusta da fare.
La ragazza ha freddo, entra in casa, prende una maglia, la mette sulle spalle e torna a sedere sul balcone.
A sinistra il cielo è quasi nero.
Ciao mamma, pensa ai bambini, prima o poi me li daranno questi soldi, prima o poi te li manderò, insieme a tre cappotti nuovi e stivali e guanti e cibo, e tu intanto, Dio, aiuta i miei bambini, proteggili dal male e fammi tornare da loro, con loro.
La notte sta per arrivare, i bambini sono in casa a bere il brodo di carote, Lydia chiude la porta, un altro giorno è trascorso… Angela dove sei, dove sei figlia mia?
La ragazza adesso trema.
No, non era questo che le avevano promesso, le hanno rubato tutto, vita sogni e futuro, lei sa che dalla voragine non la salverà nessuno, lei sa che per sopravvivere si è nutrita di illusioni, lei sa che non sentirà mai più il calore dei suoi bambini quando di notte li abbracciava forte per proteggerli dal gelo.
Lei sa che non tornerà, se non, forse, da morta.
Ha un’unica foto di loro insieme, ce l’ha sempre con sé, anche quando riceve i suoi clienti, anche quando i suoi padroni le gonfiano gli occhi e vi si aggrappa come il naufrago alla zattera; ce l’ha anche ora che ha finalmente deciso di raggiungerli.
La stringe forte al cuore, quel cuore inchiodato alla sua terra e al sangue che lì vi pulsa e marcisce.
E’ buio ormai, ma lei non vede più nulla, mentre vola felice.
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