Il pullman si arrestò alla solita fermata al centro del paese. Uomini vecchi dalle dita ingiallite e callose erano seduti ai tavolini di un bar a giocare a carte, mentre il sole illuminava la piazza dandole un colore antico. Poco più in là bambini urlanti inseguivano una palla come si insegue un sogno, con gli occhi lucidi e l’orizzonte nitido, dando vita a uno scenario immobile. La facciata della Chiesa del XXVII secolo, semplice e lineare, si specchiava in quella pomposa del Comune, i portoni di entrambi gli edifici erano spalancati e soli, nessun turista in giro, cani senza nome stesi al sole di quella calda mattinata di primavera, nel cielo voli di uccelli appena tornati da lunghi viaggi, nell’aria il loro canto festoso.
Sud.
Tutti si voltarono a guardarla mentre scendeva con emozione da quell’aggeggio ormai desueto che era un pullman a lunga percorrenza regionale. Badò a reggersi bene, non voleva cadere proprio in un giorno tanto importante.
Un fermo immagine che poteva appartenere a qualunque epoca degli ultimi cento anni.
Lei indossava un vestitino lilla e un cappellino leggero e sobrio, quasi come quello che aveva scelto di portare nel giorno delle nozze, tanti anni prima. A pensarci bene anche quell’incontro era un po’come un matrimonio. L’acme di un percorso di amore lungo decine e decine d’anni. Sopravvissuto a legami istituzionali, crudi dolori, sogni fuggiti via, canzoni interrotte, stagioni misere o tenere. A momenti di incomprensione, lontananza e inutili gelosie. Cresciuto da solo, come uno stelo selvatico. Innaffiato dalla pioggia, seccato dal sole, vivo a prescindere da eventuali cure. Testardo, forte, certo. Mai sfociato in disamore. Aveva 77 anni, quella strana sposa. Era una bella, minuta, pallida, elegante, sorridente, dolce signora. Un foulard sottile le avvolgeva il collo e giocava col vento, sulle labbra un velo di rossetto chiaro. E nulla più.
Lo vide, e negli occhi tornò la luce degli anni della gioventù. La stessa che era in quelli di lui, tenero e impacciato; gli tremava un po’ il mento mentre le tendeva la mano per dare inizio a quel matrimonio di due anime innamorate e finalmente vicine. Così è l’amore vero, stesse emozioni nello stesso istante in entrambi i cuori e i corpi, per sempre. Anche se a volte la consapevolezza piena può arrivare solo alla fine, dopo prove durate tutta una vita.
I testimoni seduti al tavolo del bar prestarono ancora più attenzione alla scena e invidiarono un po’ quel loro paesano fortunato. La trasparenza dell’amore non si può nascondere.
Le si avvicinò posandole un delicato bacio sulla guancia, i suoi occhi scuri splendevano tra rughe e impaccio, con grazia le porse un mazzo di roselline ed il suo cuore. Lei prese i fiori, li odorò e sorrise. Era la prima volta che glieli regalava.
Entrarono nel bar, presero un caffè e non si dissero una sola parola.
Poi tornarono sulla piazza, lui le mostrò con orgoglio la foto di un giovanotto bellissimo che del nonno aveva gli occhi e il nome. Era come se volesse colmare vuoti di vita, era il suo modo di dirle che da quel momento le loro esistenze si sarebbero fuse in un’unica anima. Lei si riempiva dell’emozione di lui, mentre lo lasciava parlare e dire finalmente un mare di frasi senza ordine, confuse e strabordanti che lo facevano somigliare sempre più ad un ragazzo felice. Lei sapeva tutto, quel film l’aveva immaginato mille volte certa che prima o poi l’avrebbero girato insieme.
Si presero ancora per mano. Venivano da un viaggio dell’anima che era appartenuto solo a loro ed ora la bellezza della vita che in un attimo cancella anni di distacco e dona miracoli d’eterno, sembrava dovesse esplodere in ogni forma possibile.
Sapevano che non c’era più fretta. Salutarono i testimoni curiosi e i bambini urlanti, accarezzarono i cani senza nome mentre il pullman riprendeva il suo viaggio e loro due, tenendosi per mano, andavano via col loro amore senza età.
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