Io, di quel posto ricordo, il buio.
Nella vita, di solito, si tende a custodire le cose belle, quelle brutte vengono schiacciate come le bottiglie di plastica prima di essere cestinate nella differenziata.
La mia memoria, invece, conserva il brutto.
Il buio era di quelli che si insinuano nelle cellule e le nutre, imputridendo gli organi, i sensi e l’anima; non era buio pesto, ma penombra, che permeava perpetua un posto già lugubre di suo, un luogo che pure alla luce del giorno, con la porta spalancata, era grigio e deprimente.
L’orologio scandisce il tempo … Tic tac, tic tac, tic tac … E il cuore batte seguendo la stessa cantilena; nel frattempo la gente vive o sopravvive tra mille affari che riducono il pensiero, quello degli altri, non il mio; io l’orologio ce l’avevo nel petto, il mio cuore non dava tregua, non si fermava mai, neanche un lurido istante, così, tanto da indurmi a pensare che ci fosse ancora una speranza, una malattia, la morte, qualsiasi cosa che potesse spezzare quel buio e quell’immobilità consapevole e devastante!
24 ore sono un’infinità drammatica di minuti se non si ha la possibilità di muoversi, di parlare con qualcuno, di vedere la luce, 24 ore sono eterne, di quell’eternità infernale, delirante che uccide ogni pensiero dignitoso e spegne ogni seme di vita!
Io le vivevo ormai da tempo, tanto tempo, quelle 24 ore vuote e la cosa più atroce era che dopo quelle, ne sarebbero arrivate altre, altre ed altre ancora in un’espiazione innocente, bieca e lacerante, una sfilata maligna di giorni indecorosi, inutili e alienanti fino a un punto di non ritorno che immaginavo lontanissimo.
Un tempo, invece, arrivavo stremato alla sera, camminavo per strade interminabili, lisce e poi tortuose, affollate e poi solitarie, camminavo come un folle e infine, esausto, mi addormentavo. Anche nei primi mesi di reclusione il sonno è stato compagno fedele, dormivo perché era l’unica via di fuga che avessi!
Inutile dire quali fossero i miei sogni, quando c’erano: anche i sogni percorrevano erte ripide, quasi inesistenti, sogni d’amore, incubi, zero assoluto!
“Dimentica, amore mio, dimentica il dolore, ci sono io con te, guarda che bel prato, guarda il cielo, è azzurro e l’aria leggera e frizzantina di questo giorno profuma di primavera; dimentica, cuore mio e corri, respira, vivi e non aver paura, ci sarò per sempre io con te, è finito il tempo del dolore!”
Lei parla, mi accarezza con soavità come si farebbe con un fiore per non sciuparne i petali ed io piango e sussurro un impercettibile “grazie”…
Anche nell’altra vita lei era la sola piccola luce, era un istante brillante nel covo demoniaco e buio, era una mano tesa in quell’oltre senza sogni, lei ripeteva “ciao amore, torno domani” e se ne andava, varcava la linea di confine vietata a quelli come me.
Beveva i miei sguardi e si illudeva di cogliere, di volta in volta, un lampo di gioia impossibile, mi faceva mille carezze e diceva: domani, domani, domani, domani, domani …
E se ne andava con dolore, io lo sentivo il suo dolore, quello sordo che nasce dalla mancanza di soluzioni, quello sublime che nasce dalla compassione, quello disperato che nasce dall’amore calpestato, quel suo amore infine ridicolo… A un certo punto quella stupida donna l’ho pure odiata: voleva essere consolata da me per il dolore che provava per me!!!
E se prima l’aspettavo con la gioia che si prova respirando aria fresca di ritorno dall’apnea, alla fine l’ho pure detestata perché somigliava a un boia buono, una contraddizione in termini!
Quanti ricordi dolorosi, quante lacrime silenziose…
“Dimentica, cuoricino mio e perdonami”…
Ma io non so se riuscirò a dimenticare e a perdonare, anche se capisco che è la cosa migliore da fare …
Rinascere, ripartire, ricominciare perché è arrivato davvero il domani tante volte promesso; la stupida donna mi ha liberato, ha aperto la porta e l’ha richiusa per sempre, ma…io sono con lei, senza catene con lei, senza gabbia con lei, libero con lei verso la realizzazione di un progetto ambizioso che deve aver letto da qualche parte e che vuole applicare a noi: Vito, senti che bello, che cosa meravigliosa, che gioia immensa sarà ”la vita che procede e l’antica amicizia, la felicità di essere cane e di essere uomo trasformata in un solo animale che cammina muovendo sei zampe e una coda intrisa di rugiada” (Pablo Neruda, ndr).
Ci riuscirò? Se fossi un uomo forse no, ma sono un cane e spero di riuscire a credere ancora nella felicità!
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