Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Jeanne Moreau e una notte furono i protagonisti di un film che porta con sé sessant’anni di storia, ma che resta sempre dinamico nonostante i tanti anni trascorsi.
La pellicola firmata Michelangelo Antonioni mette in scena la storia di un uomo e una donna il cui amore è spento da tempo. Si è spinti in un linguaggio che va al di là delle parole e si concentra sull’immagine e quindi in un linguaggio comunicativo fortemente innovativo. Il volto di Giovanni interpretato da Mastroianni rappresenta l’inconsapevolezza di un uomo nel rendersi conto della fine di un amore. Un’inconsapevolezza che culmina nella scena finale del film e in cui emerge l’impotenza della donna protagonista di fronte alle dimenticanze di uomo che un tempo avrebbe giurato di amarla.
Il regista sembra un poeta che non nasconde la realtà ma la rappresenta allegoricamente. Inserisce ne “La notte” la realtà di un tempo in cui vi è un’incomunicabilità che destabilizza e in qualche modo ferisce. Si tratta di una serie di sentimenti che arrivano allo spettatore in modo acuto. Il vagabondare di una donna diventa, attraverso il linguaggio figurativo, un vero emblema di crisi che strugge e porta compassione.
Una storia fatta di nostalgia, un’esplosione di sentimenti finali che sono tristemente espressione di un silenzio durato troppo tempo. Michelangelo Antonioni vince il David di Donatello come miglior regista, diventando un modello di ispirazione per personalità future come Kim-Ki-Duk, Godard o ancora movimenti come Nouvelle Vague. Un parallelismo, quello con Kim-Ki-Duk, che sembra essere davvero espressione di una forte influenza da parte del regista italiano e che emerge in “Ferro 3”.
La trasmissione di emozioni attraverso un linguaggio basato quasi interamente su immagini e pochissime parole che spesso sono frivole e non tanto importanti quanto un’azione dettata dal cuore.