L’argomento potrebbe sembrare insolito, sicuramente è provocatorio. Ma la proposta, lanciata dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” qualche anno fa, di assegnare il premio Nobel per la pace alle famiglie salentine, contiene spunti di riflessione che richiamano il mondo dell’emigrazione, i valori del Meridione e profili più alti di mondializzazione, che appaiono evidenti a chi guarda da fuori questo lembo d’Italia.
La campagna “Un Nobel per il Salento” rende presenti le immagini divulgate dai mezzi di comunicazione di fughe e viaggi di dolore e di desiderio per approdare ad un’esistenza normale prima ancora che ad uno scoglio. Il Canale d’Otranto è ormai testimone di storie di profughi che partono carichi di sgomento e sofferenze, imbarcati su gommoni da scafisti senza scrupoli e buttati in mare di fronte ad una terra che ai loro occhi pare la terra promessa, una terra abitata da gente che, ascoltando nella notte le invocazioni di aiuto, scende in mare e li accoglie con generosità, non facendo mancare loro una coperta di lana e una tazza di latte caldo.
Il collegamento tra queste immagini di accoglienza, in opposizione alle scene di guerra e di violenza che i media ci trasmettono in queste settimane, provoca alcune considerazioni.
Di fronte a migliaia di uomini, donne e bambini che bussano alle nostre porte, sono possibili diverse reazioni. Per alcuni si tratta di un’emergenza, per altri di una sfida, per altri ancora di un’opportunità. Del resto accogliere non significa soltanto assicurare un posto letto, l’assistenza sanitaria o un piatto caldo, ma offrire la possibilità di una vita dignitosa, che abiliti a relazioni idonee a favorire il processo d’integrazione socio-culturale con la realtà del paese ospitante. Tutto ciò significa non solo garantire il semplice benessere materiale, ma un miglioramento complessivo delle condizioni di vita nel pieno rispetto e valorizzazione delle culture diverse.
Oggi lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e la possibilità di raggiungere in poche ore di volo la parte opposta del globo, riducono il mondo ad un villaggio. I rapporti tra popoli e culture diverse si moltiplicano. Termini come mondializzazione e globalizzazione diventano sempre più familiari. E anche da noi discutere di multiculturalità, multietnicità, non è esercizio accademico, riguardante mondi lontani, ma confronto con la quotidianità.
Infatti è evidente che l’Italia si è trasformata da un Paese di emigrazione ad uno di immigrazione.
Per semplificare, è quello che accade nel Salento e che esprime una realtà dalle mille facce, ricca di prospettive e carica di incognite.
Eppure ancora oggi nel nostro paese i principi dell’integrazione razziale, della tolleranza e della solidarietà non si sono affermati in maniera definitiva. Il gesto delle popolazioni salentine, invece, vuole essere proprio un segno nella direzione della pace e della solidarietà. Infatti la solidarietà per chi emigra nasce là dove si è conosciuta l’emigrazione e la povertà. E tra poveri ci si capisce e ci si aiuta. La gente semplice del Salento, che ha provato cosa vuol dire fare l’emigrante con le valigie di cartone e i pregiudizi addosso, oggi sa meglio di altri cosa significhi solidarietà. Per i salentini accogliere un ospite è un gesto che coglie il mistero della lontananza, l’appartenenza dello straniero all’ordine dei messaggeri e non degli estranei.
Lo stesso don Tonino Bello, figlio della terra salentina, allargando il discorso all’intero Sud, parlava di “ansia profonda di solidarietà presente nel Sud istintivamente portato alla costruzione di una civiltà multirazziale, multietnica, multireligiosa. C’è nel Meridione un’innata disponibilità all’accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastante con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio, e vi si oppone con forte determinazione.”
In prospettiva più globale il discorso era completato dal cardinal Martini da Milano, che faceva presente il compito storico dell’Europa: sperimentare nuove vie e dimensioni della politica e della società, non solo per sé, per la sua sicurezza e per il suo benessere, ma pure per offrire agli altri continenti e al mondo intero vie praticabili e utili ad una convivenza più umana e pacifica.
Un auspicio allora anche da parte nostra perché si concretizzi l’attribuzione del Nobel per la pace al Salento. In un Mediterraneo scosso dai lampi di guerra sarebbe un messaggio significativo non solo per le genti di questo mare ma per tutte le sponde martoriate che ancora dividono il mondo.