La terra di nessuno

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Mi sento solo. Ho sentito da qualche parte, forse in televisione, che solo i deboli piangono. E noi, uomini di strada, deboli non possiamo proprio permetterci di esserlo. Non ne abbiamo il tempo. Oggi, però, sono triste. Angelo se n’è andato e non tornerà più.

No, non è partito per Amsterdam con Chiara. Non dovrò andare sino a Brindisi, in aeroporto, a prenderlo. Ha iniziato il suo viaggio più bello, troppo presto, senza volerlo. E’ partito per sempre.

Siamo cresciuti insieme, nel quartiere Tamburi, a Taranto. Dalle scuole medie non ci siamo persi di vista un giorno. Siamo diventati uomini in mezzo alla strada, ne abbiamo passate tante. Ma siamo rimasti dei bravi ragazzi, il nostro sogno è stato sempre quello di mettere su famiglia e lavorare onestamente per mantenerla.

Quante volte abbiamo pensato di cambiare vita, lasciare tutto e partire. Andare all’estero era il nostro progetto più folle ma anche quello più stimolante. La Londra multietnica o la Germania industrializzata. Ho ancora nelle orecchie le parole di zio Salvatore “venite a Monaco, gli operai specializzati qui in un mese guadagnano quanto guadagnereste lì in tre mesi”. Ci eravamo quasi convinti, avevamo già visionato il costo dei biglietti aerei per la Germania. Ma poi è arrivata Chiara nella sua vita, e l’ho visto sempre più tentennante. Di partire da solo, non ho proprio avuto il coraggio. Così siamo rimasti ed abbiamo continuato a lottare, come abbiamo sempre fatto. Fino a quando non è arrivata quella chiamata. La chiamata.

Quel gigante che si erge a pochi passi dal nostro quartiere ci stava tendendo una mano. Nonostante le critiche, le difficoltà, a cui ci metteva di fronte giornalmente decidemmo che su questo treno saremmo dovuti salire perché se non l’avessimo fatto noi, l’avrebbe comunque fatto qualcun altro. E così è stato.

Croce e delizia, quel gigante. Ha dato ed ha tolto alla nostra gente, continuamente. Ha dato la possibilità ai nostri genitori di non emigrare, di mettere su famiglia. Ci ha dato la possibilità di strombazzare per le vittorie della nostra squadra con la nostra prima auto usata. Ci ha dato la possibilità anche di toglierci il capriccio di fare qualche vacanza lontano da qui.

Eravamo giovani, e non potevamo comprendere a pieno quello che nel frattempo ci stava togliendo. Avevamo le ali sotto ai piedi, era sufficiente il nostro umile stipendio a fine mese per sentirci onnipotenti e sognare. Non ci siamo resi conto che quella che a noi sembrava una benedizione aveva già mietuto molte vittime. Quando sei giovane e senti parlare delle disgrazie, non pensi mai possano accadere a te.

Ed è così che ci siamo abituati alle malattie oncologiche, al cielo oscurato nei giorni di vento ed alle scuole chiuse, ai guard-rail arrugginiti ed ai cumuli di povere sul balcone. Per noi, tutto questo è diventato la normalità. Mia madre non si è mai stupita di raccogliere quei centimetri di polvere dal terrazzo tant’è che finché non la riprendessi era solita depositare quei veleni nei vasi delle nostre piante.

Adesso si sciopera, da Taranto a Genova. E siamo tutti qui, per te Angelo, ma anche e soprattutto per noi che non faremo svanire nel nulla il tuo ricordo. Siamo in tanti in questo scialbo venerdì ma ti confesso che l’espressione rassegnata della nostra gente non infonde sensazioni positive. Noi stessi abbiamo snobbato tante manifestazioni, ci interessava solo lavorare e condurre serenamente la nostra vita. E invece ora mi ritrovo qui, megafono in mano e cuore in subbuglio.

Anni e anni di soprusi, slogan, dibattiti e trattative. Anni di passerelle politiche e sfrontate manovre imprenditoriali. Tutto questo succede in un Paese con la settima economia mondiale, in un Paese in cui il diritto alla salute è costituzionalmente previsto, in un Paese che riconosce la propria forma di governo come fondata sul lavoro. Non so se sia giusto lavorare, con il rischio di pagare simili conseguenze, o chiudere tutto ed andare a cercare fortuna altrove. Di una cosa però possiamo essere certi, gli unici a pagare le conseguenze siamo stati soltanto noi. Danni ambientali, malattie, cassa integrazione e spesso addirittura la vita.

Imprenditori venuti da lontano e ministri venuti da Roma, terminata la loro missione vocazionale, sono sempre tornati nei loro palazzi dorati. Noi siamo sempre rimasti qui. D’altronde noi a Taras ci siamo nati, nel nostro sangue abbiamo la tempra degli antichi spartani e l’orgoglio e la fierezza degli uomini meridionali. Ma parlare di questo, oggi, ha poco senso. Siamo stati terra di conquista, abbiamo subito passivamente le decisioni di uomini potenti che ci hanno posto davanti ad un succulento banchetto con la spada di Damocle pendente sulla nostra testa. Siamo diventati zona franca, siamo diventati la terra di nessuno.