Il gioco non è scommessa

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La ludopatia è una vera e propria forma di malattia: attualmente si stimano più di 15 milioni di giocatori abituali, di cui 3 milioni a rischio patologico e circa 800.000 già patologici; considerato che lo Stato spende circa 6 milioni di euro per curare i dipendenti da gioco patologico, bisognerebbe proporre alle nostre amministrazioni di dotarsi di strumenti che contrastino una piaga per centinaia di famiglie avente un peso economico anche per il Sistema Sanitario Nazionale.

SlotOramai se ne discute da anni. È un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale ed è considerato ricca fonte di guadagno per le casse dello Stato.

Stiamo parlando delle slot-machines. Si stima che, solo nel 2012, queste “macchinette infernali” abbiano incrementato le finanze del nostro Paese di circa 49 miliardi di Euro: tanto avrebbero perso gli Italiani che amano “intrattenersi” … In dieci anni, le scommesse sono decuplicate.

Dunque: lo Stato ci guadagna e l’italiano si diverte.  Questo all’apparenza.

Una recente indagine, però, ha rilevato e dimostrato l’esistenza di una correlazione tra la numerosità dei “mini casinò” presenti in un Comune e quella della diffusione di ludopatia e dell’impoverimento della popolazione giovanile. Per usare un linguaggio potabile: il rapporto tra la diffusione delle slot machines e l’aumento di povertà e di malattie è direttamente proporzionale. Così, mentre lo stato gongola per gli introiti a nove zeri, i territori comunali vengono depressi dai costi economici e sociali.

A pagare sono soprattutto i più disagiati, quelli più esposti agli effetti della crisi economica, giacchè è proprio nelle loro zone di residenza che si registra la maggiore concentrazione di slot tanto che, quest’ultime, sono da considerarsi una vera e propria “tassa” sui poveri.

È confortante sapere che, oggi, stanno aumentando le misure di prevenzione e le “pubblicità progresso” che avvisano dei pericoli connessi ad una certa tipologia di giochi. Alcune regioni (Lombardia in primis) si stanno anche adoperando per  legiferare al dine di disincentivare la diffusione di questo fenomeno ormai dilagante; alcune realtà della società civile promuovono azioni per sostenere e pubblicizzare i locali che rinunciano alle macchinette, come la campagna “Slot mob” .

Un gruppo di oltre 70 Enti in tutta la penisola si è riunito per realizzare gli “slot mob” in diverse città italiane così che, Biella, Milano, Teramo, Cagliari, Palermo, Catania, Trento, Reggio Emilia, Cremona, Macerata, Roma ed – entro il prossimo aprile 2014 – altre città saranno unite nel sensibilizzare (facendo colazione nei bar, che è un metodo “dolcissimo” di protesta e proposta) la popolazione contro il rischio del gioco d’azzardo, che sta diventando un’emergenza sociale e dietro cui si annidano anche gli interessi della criminalità organizzata (con le macchinette illegali o la proprietà dei locali, celandosi dietro prestanome) che è pronta a speculare anche sul bisogno delle vittime di ricorrere a soldi pur di giocare.

C’è però bisogno di un’operazione culturale che parta anche dall’uso ed abuso di un linguaggio.
Il gioco non è una scommessa.
La scommessa, quando diventa azzardo, è un’azione irrazionale mediante la quale l’uomo sfida l’incertezza dell’ignoto. La scommessa è appagante soltanto quando si vince altrimenti serve a stimolare la produzione di adrenalina dovuta al rischio. Tanto da creare dipendenza.

Il gioco è un’altra cosa. È attività umana che esercita l’uomo alla socialità, gli fa sperimentare la creatività, lo fa divertire nella collaborazione facendogli conoscere le gioie di una vittoria e le delusioni di una sconfitta. Dall’infanzia alla maturità, il gioco dà vita all’amicizia, tanto da essere riconosciuto come uno dei diritti dell’infanzia, una delle capacità centrali dell’uomo e della donna: ossia un ingrediente essenziale al raggiungimento dello sviluppo integrale della persona.

Ecco: non bisogna affatto confondere gioco e scommessa. Ripuliamo dunque il nostro linguaggio: quando scommetto non gioco. 

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