Lecce – Aveva appena compiuto 72 anni ma non immaginava che sarebbe stato il suo ultimo compleanno. Per lei, sofferente da una vita, non si è trovato posto in ospedale. Ed è stata “mandata a morire”… È stato il suo ultimo “pellegrinaggio” prima di rendere l’anima a Dio. Il tutto in meno di 24 ore…
“HO VISSUTO LA MALASANITÀ, QUESTA VOLTA NEI PANNI DEL DEBOLE CHE SOCCOMBE! E SCRIVO QUESTO POST NELLA ILLUSORIA SPERANZA DI SCUOTERE QUALCHE COSCIENZA INTORPIDITA ED ANESTETIZZATA!”: a scrivere – diremmo ad urlare – queste parole è un giovane medico. Non una persona qualsiasi, ma il genero di Ada Rosaria. Una persona che sa quello che dice, è stato testimone di quanto è accaduto e, nel raccontare l’ennesima Via Crucis di sua suocera, parla a ragion veduta.
Ada Rosaria era una donna sofferente da molti anni, cardiopatica, nefropatica e dializzata renale con grave osteoporosi. Una banale caduta le aveva procurato una frattura di femore e di bacino. Mercoledì scorso, al termine di una seduta fisioterapica è stata mandata a casa con la propria auto, rassicurata del fatto che le sue condizioni non destavano alcuna preoccupazione. Ma, giunta a casa, la situazione precipita drammaticamente: i dolori si fanno lancinanti, compare una emorragia a tutto l’arto inferiore e a quel punto, il marito, si vede costretto a rimetterla in macchina e sottoporla ad ulteriori accertamenti radiografici grazie ai quali verranno evidenziate fratture al femore ed al bacino osseo.
L’intervento dei sanitari del 118, però, complica ulteriormente le cose: nel nosocomio leccese – il “Vito Fazzi” – dove Ada Rosaria si reca quattro volte a settimana per la dialisi, non c’è posto. Quindi la donna sarebbe stata destinata al vicino ospedale di Copertino.
I familiari, contrari alla scelta di trasferire l’anziana donna a Copertino, chiamano un’ambulanza privata e la trasferiscono a Lecce (dove Ada era già conosciuta e tenuta in cura).
“E lì in, Pronto Soccorso, – scrive ancora il genero – inizia l’odissea! Burocratizzazione del caso clinico, medicina difensiva, scaricabarili di responsabilità, cinismo, distacco emotivo ed empatico fuori da ogni logica umana e professionale, nonostante mi fossi presentato come collega e nonostante cercassi di illustrare loro la situazione clinica della paziente molto delicata e precaria!”.
Nulla da fare: i medici del Fazzi non ascoltano ragioni, non reperiscono un posto letto in alcun reparto e la paziente, poco dopo la mezzanotte, viene trasferita all’Ospedale Ferrari, a Casarano. Una vera e propria “condanna a morte”.
Il giorno seguente, infatti, dopo una notte di agonia, dispnea, vomito, sudorazione profusa e calo pressorio Ada, stremata, ha lasciato questa terra.
Se la morte di Ada sia stata conseguenza della malasanità che, oramai, attanaglia decine di Regioni italiane, saranno i posteri a stabilirlo, se mai sarà chiesto di far luce su questa triste vicenda. Un fatto è certo: l’Italia continua a spendere meno della media europea per mantenere il proprio sistema sanitario (14,1% del proprio Pil), che continua ad essere danneggiato da precariato, insufficienza degli organici, ed invecchiamento del personale sanitario.
Ma al netto di qualsiasi statistica, resta la considerazione finale che si legge in quel post di denuncia: “Adesso, da parente c’è solo rabbia e dolore ed in quanto medico …vergogna!”.