Com’ è noto l’autunno, incastonato tra l’estate e l’inverno, è la stagione ove nel paesaggio mutevole della natura si assiste alla variabilità del colore delle foglie degli alberi, producendo quel fenomeno per cui dal verde cangiante i colori diventano più caldi, creando un caleidoscopio di sfumature chiamato foliage. Interessante quanto la similitudine tra gli uomini e le foglie possa raccontare la caducità della nostra vita anche nella letteratura. Solo per fare due esempi cito Dante (Inf. III, 112-114), riferendosi alle anime dei dannati «Come d’autunno si levan le foglie /l’una appresso dell’altra, fin che ‘l ramo/ vede alla terra tutte le sue spoglie» e Ungaretti che ne ribadisce attraverso il proprio vissuto la caducità «si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie» (Soldati).
Rimanendo nella metafora, il tono malinconico dell’autunno apre tuttavia alla ricchezza trovando riscontro nella stagione della raccolta di ciò che la nostra madre terra genera, come rintracciabile nella stessa etimologia greca e latina. Ecco allora che, nell’immaginario collettivo, se per qualcuno l’autunno è visto come una fase di declino, per altri è considerato addirittura il periodo della rinascita.
Avvicinandoci ancora di più al tema della malinconia, diciamo subito che dalla psicologia essa è considerata un’alterazione dell’umore e per gli antichi Greci faceva parte degli stati d’animo/carattere (melanconico, flemmatico, sanguigno e collerico), diversamente da altre interpretazioni che congiungono i quattro umori a cicli come le stagioni.
Ritornando ai sintomi riscontrabili da molte persone in questo mese sicuramente, come recitano le parole di una nota canzone la «Malinconia d’ottobre/ per tutto quello che non ho», può dipendere dalla:
fine della bella stagione, associata alle vacanze, che va verso l’inverno;
riduzione delle ore di luce;
mutevolezza della nostra percezione della natura (variazioni di colori, suoni, profumi, ecc.) che trova la stessa instabilità del nostro stato d’animo;
manifestazione degli acciacchi stagionali, ecc.
Sembra che un po’ di tristezza e di malinconia sia cosa buona e giusta; addirittura è imprescindibile ed inevitabile considerando che spesso è la tristezza del ricordo che pulsa nella nostra vita a far emergere il senso di malinconia. Pare che senza questo stato d’animo e sentimento non si possa vivere, tanto che sovente è proprio lei stessa ad approcciarsi «Un dì si venne a me Malinconia/ e disse: “Io voglio un poco stare teco”; / e parve a me ch’ella menasse seco/ Dolore e Ira per sua compagnia» (Dante, Rime, LXXI).
Considerando che è lei a cercarci, come accade nei rapporti tra persone, ed il percepire di sentirsi desiderati e pensati fa piacere, perché non pensarla ‘dolce malinconia’ come in Tibullo e in Virgilio o come compagna «sempre inseparabile dal sentimento del bello» (Baudelaire)?
Tornando alla mutevolezza dell’autunno e con uno sguardo al mondo idilliaco dell’Arcadia, non possono mancare i primi versi della mesta Arietta di Vincenzo Bellini «Malinconia, Ninfa gentile/ La vita mia consacro a te» (La Melanconia da Poesie campestri, 1817) di Ippolito Pindemonte, di grande aiuto per cogliere quanto insito in questo particolare stato d’animo.
È a lei (malinconia) che l’umanità affida la propria vita convinta che, nel mutare delle stagioni, sia sempre possibile trovare appagamento e contentezza nel rivedere le meraviglie della natura.
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