Incontriamo Giulia Maria Falzea fuori dalla Casa Circondariale di Lecce, dove si è appena concluso uno dei periodici appuntamenti che le volontarie del gruppo “Libere di leggere” organizzano con l’autrice del testo che di volta in volta viene preso in esame, consentendo di far nascere e sviluppare dibattiti, riflessioni, idee. Il libro di Giulia Falzea ne ha generate tante e la disponibilità della scrittrice ha fatto sì che anche noi potessimo intervistarla.
Cosa rappresenta per lei la scrittura?
Per me la scrittura è madre e matrigna. È la madre nel suo atto d’ amore che mi completa e mi fa sentire viva e contemporaneamente è la matrigna dalla quale vorrei scappare, proprio la tipica matrigna delle favole, quella cattiva che per molti anni ho rifiutato e che ha cercato di farmi strappare il cuore dal boscaiolo, ma in realtà il boscaiolo le ha portato indietro quello del cervo.
Il suo primo romanzo ha un titolo accattivante e al tempo stesso angosciante “Cannibali”, perché?
Il titolo “Cannibali” è ovviamente una metafora del cannibalismo. Significa appunto che siamo tutti figli, perché probabilmente non siamo tutti e tutte padri o madri, ma siamo sicuramente tutti figli di una madre e di un padre e quindi in qualche modo siamo cannibali, nel senso che non solo fisicamente, chi più chi meno si nutre dei propri genitori. Parlo soprattutto della mia generazione, la famosa generazione di millennials, quella nata negli anni’ 80, che ha questo legame di dipendenza socio – affettiva – economica – antropologica con i propri genitori che in qualche modo non li “smarca” mai dall’essere figli anche quando a loro volta diventano genitori e quindi c’è questa relazione vera di “cannibalismo” di doverseli in qualche modo mangiare, di dover comunque restare attaccati alle caviglie dei propri genitori anche a quaranta – cinquant’anni e mordicchiarle.
Cos’è l’amore per Giulia?
L’amore per me è un atto politico. Perché amare vuol dire dedicare la propria parte di relazione umana a qualcuno/ a, a più di uno/a, alla comunità; quindi, è senz’altro un’azione politica, un gesto che prevede sforzi, rinunce e soprattutto grandissimo coraggio. Inutile che dica che ci sono svariate e infinite forme di amore, quindi per me sono “gli amori”.
Se dovesse scegliere tra la famiglia ed il lavoro, cosa sceglierebbe e soprattutto le sembra giusto essere messa nella condizione di dover scegliere?
Non è affatto giusto per chiunque trovarsi nella condizione di dover scegliere fra famiglia e lavoro. Io scelgo di fregare il capitalismo e quindi, quando in qualche modo mi sono messa da parte qualche risparmio o comunque ho la possibilità di restare a casa con mia figlia lo faccio. Famiglia e lavoro non sono minimamente paragonabili e nessuna donna o uomo dovrebbe dover scegliere.
Quanto c’è di autobiografico nel suo romanzo?
Di propriamente autobiografico nel libro non c’è quasi nulla. C’è sicuramente la canzone Lili Marlene che sia mia madre che mia nonna cantavano, mia madre la cantava a me ed ora la canta anche a mia figlia e anche la frase “lo sai che quando muori diventi una stellina?” detta da una bimba a un mio carissimo amico quando perse la sorella.
La sua capacità descrittiva permette al chi legge di immergersi nella storia, quasi come se guardasse un film. Ha pensato di farne una piece teatrale?
Il fatto che sia molto cinematografica o anche da serie TV ovviamente mi lusinga. Mi interesserebbe molto vedere i personaggi agire in carne e ossa. Certamente un libro non inizia e finisce con la sua pubblicazione. Chissà magari un giorno sarà una piece teatrale, non mi dispiacerebbe affatto.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Studiare, sempre, ancora e provare a scrivere un altro romanzo. Probabilmente in ottobre uscirà una raccolta di racconti con Collettiva Edizioni e poi crescere mia figlia.