Il Cantico dei cantici per lingua madre: il testo poetico tradotto e reinterpretato da Fabio Tolledi

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“Cantu de tutti li canti – cuntu de tutti li cunti – vasame cu tutti li vasi de tutta la vucca toa – megghiu de lu mieru ete quandu me’ncarizzi”

Inizia con questi versi “Il Cantico dei cantici per lingua madre” di Fabio Tolledi, pubblicato nel 2020 da Astràgali Edizioni – Eufonia Multimedia col sostegno della Regione Puglia – Coordinamento delle Politiche Internazionali – Sezione Relazioni Internazionale Articolo 8 Legge Regionale 12/2005, Avviso Pubblico 2020 per la concessione di contributi a sostegno di “iniziative per la pace e per lo sviluppo delle relazioni tra i popoli del mediterraneo”.

L’idea sviluppata da Tolledi è quella di partire da un testo noto: “Il Cantico dei cantici”, uno dei libri sapienziali della Bibbia e rileggerlo in lingua salentina, la lingua madre, appunto, del nostro autore. Il testo poetico è stato composto tra il 1996 e il 1999, con l’intenzione di creare uno scritto teatrale per sette giovani donne, vestite di bianco, che all’interno di frantoi ipogei accoglievano pochi spettatori. Dunque, non una traduzione, ma l’elaborazione di un percorso all’interno dell’intima necessità poetica, più vicino al procedere poetico di Joyce Lussu (partigiana, scrittrice, traduttrice e poetessa italiana), che restasse fedele all’antico suono della lingua. L’autore, per questo, si dice grato a Giovanni Testori e Pier Paolo Pasolini. La parola scelta di volta in volta, in salentino, griko, levantino o jonico si è fatta strumento, veicolo di significato e di suono legandosi al flusso poetico carnale e sensuale e alla sua funzione teatrale. Nel procedere teatrale, la poesia sensuale e ricca di erotismo è traghettata di corpo in corpo, quello delle sette giovani donne che, nel luogo sotterraneo prescelto, promettono vita e piacere ai testimoni ivi convenuti.

Il “Cantico dei cantici”, letteralmente “il più bello dei cantici” è stato scritto, molto presumibilmente, nel IV secolo a.C. da un anonimo o da re Salomone, il saggio re d’Israele. Composto da un prologo, cinque poemi e due appendici, il poema racconta del corteggiamento tra due amanti (Salomone e Sulammita), che si rivolgono l’un l’altra con parole di profonda bellezza, delicatezza e dolcezza manifestando il desiderio d’incontrarsi. Il corteggiamento inizia con la descrizione che Sulammita fa di sé alle figlie di Gerusalemme, sottolineando il colore della sua pelle e paragonandolo alle tende dei nomadi kedariti, ella compara il suo amore al pastore che “pascola il suo gregge tra i gigli”, lo sogna. Dall’altra parte l’uomo, Salomone, descrive con minuziosi dettagli il corpo della sua amata, giungendo a commisurare il suo profumo a quello del Libano, fino a desiderare un incontro più intimo, si dirà “entrare nel giardino” e “mangiare e ubriacarsi d’amore”. La donna ha paura di perdere l’uomo amato, di non riuscire più ad incontrarlo e rapporta l’amore alla morte e allo sheol (la dimora sotterranea dei defunti); nella parte finale del Cantico dirà “Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte, la gelosia è dura come il soggiorno dei morti”. Il testo del “Cantico dei cantici” fa parte di uno dei cinque rotoli (meghillot), letti in occasione delle festività ebraiche, soprattutto a Pasqua. Varie le interpretazioni: dall’amore del Creatore per Israele, a quello di Gesù per la Chiesa, sua sposa; al luogo più sacro del tempio di Gerusalemme: Qodesh haQodashim alla Torah, fino al cammino che compie l’anima per giungere a Cristo. Ad attestare la grande diffusione e importanza di questo poema è la lingua utilizzata, che nel corso del tempo si è plasmata alle nuove esigenze, fino alla versione giudeo-italiana, in lingua romanza, ma trascritta in caratteri ebraici, a testimonianza del fatto che per facilitarne la sua lettura si utilizzò non solo la scrittura del testo originale ma anche le lingue più comunemente parlate. Una lenta stratificazione di lingue, necessaria per una migliore e chiara diffusione e studio, codificata nel tempo.

Il libro “Il Cantico dei cantici” nella sua seconda pubblicazione (la prima, sempre di Astragali Edizioni – Eufonia Multimedia è del 2012), è corredato di CD, nel quale sono presenti brani tratti dal “Primo libro de madrigali a 5 voci”, Venezia, 1600, che ha la particolarità di ospitare accanto alla voce del cantus, l’accompagnamento realizzato in intavolatura per chitarrone, in linea con la “nuova maniera di cantare” teorizzata dalla fine del XVI sec dalla Camerata fiorentina di Bardi, Caccini, Peri e de’Cavalieri. ai quali sono stati aggiunti i mottetti in latino in cui i versi del Cantico basati sulla Vulgata Clementina, sono stati musicati da Girolamo Montesardo e Giulio San Pier di Negro, compositori meridionali, vissuti tra il 1500 e il 1600. La musica, come sottolinea Luca Tarantino, Direttore dell’Ensamble Montesardo (gruppo nato per trascrivere, pubblicare ed eseguire l’immenso patrimonio di musiche prodotte dai compositori dell’Italia meridionale in Età Moderna), è molto presente nella cultura ebraica e trova nella Bibbia la sua espressione di misurata gaiezza, mentre quella che segue la seconda distruzione del tempio e la diaspora si manifesta altresì con la parola legata al ricordo e alla preghiera, il canto è in forma di lettura intonata prima della Bibbia e poi dei Testi Sacri. Musica, che diventerà pratica obbligatoria, come tutte le altre forme di insegnamenti rabbinici insieme alle norme di comportamento che guidano l’intera esistenza di ogni individuo del popolo ebraico, codificate nel Talmud, con il compito di elevare spiritualmente colui che recita il testo sacro. Al di là del contesto sacro, era concesso danzare e cantare anche durante i matrimoni e la festa di Purim. Dopo la metà del’400 in Italia fioriscono scuole di Danza ebraica frequentate anche da cristiani e nella ritualità del cerchio tutti partecipano, perché tutti uguali davanti al divino. Anche nel Cantico dei cantici è prevista una danza. La Sulammita danza, rincorre l’amato saltando e volteggiando (mahol significa volteggiare).

Il “Cantico dei cantici per lingua madre”, è anche corredato di un CD, nel quale sono presenti brani tratti dal Primo libro de madrigali a 5 voci, Venezia, 1600 ai quali sono stati aggiunti i mottetti in latino i cui i versi del Cantico basati sulla Vulgata Clementina, sono stati musicati da Girolamo Montesardo e Giulio San Pier di Negro, compositori meridionali, vissuti tra il 1500 e il 1600.

Nella sua prima stampa è presente il contributo “Canto de li canti” di Fabrizio Lelli, docente di Lingua e Letteratura Ebraica all’Università del Salento, che ricorda come il testo il “Cantico dei Cantici”, dal contenuto esplicitamente erotico, nel II secolo dell’era volgare, sia stato accettato e incluso “all’interno di una raccolta cui si attribuiva la sacralità della rivelazione divina” grazie a Rabbì Aqiva  che affermò: “Tutti gli scritti sono sacri, ma il Cantico dei cantici è il più sacro di tutti”. Grande interesse ha ricevuto nel corso del tempo da parte di poeti e scrittori e ad esso molti hanno attinto. Ad esempio, nella letteratura italiana ricordiamo Guido Guinizzelli, Petrarca, Guido Cavalcanti. Lelli analizza il lavoro di traduzione e sovrapposizione di lingue che contraddistingue la versione utilizzata in Italia, giungendo alla conclusione che la copiatura del codice avvenne con molta probabilità nell’Italia meridionale ed in particolare in Puglia è stata “elaborata la fase più antica della nostra versione utilizzata dagli ebrei di probabile provenienza pugliese nel loro peregrinare in Italia. Il testo nel primo Quattrocento fu ricopiato dallo scriba Ya’aqov (Giacobbe) in un elegante semi-corsivo ebraico italiano, un codice che contiene traduzioni giudeo-italiane di preghiere e inni per le principali festività dell’anno liturgico ebraico. Al suo interno comprese anche il volgarizzamento del Cantico che fu inserito nell’ultima sezione della Bibbia ebraica, quella degli Agiografi e utilizzato come testo liturgico della festa di Pesach, la Pasqua ebraica.

L’immagine che caratterizza entrambe le edizioni è un dettaglio artisticamente sgranato e pigmentato di blu, tratto da “Gabrielle d’Estrées e sua sorella”, olio su tavola di quercia, realizzato nel 1594 da un autore anonimo della scuola di Fontainebleau, custodito al museo del Louvre, che evidenzia la mano sinistra di una donna che con indice e pollice pizzica il capezzolo della donna che le siede accanto. Un dipinto misterioso ed evocativo che racconta attraverso il suo codice espressivo fatto anche di simboli e colori, un frammento di storia legata alla maternità di Gabrielle, dettagli che si trasformano attraverso altri sguardi come le parole e i significati delle poesie, che quando incontrano il suo lettore/lettrice diventano altro.

Laurea Triennale DAMS è attualmente iscritta alla magistrale di Storia dell’Arte. Socia fondatrice di "Palchetti Laterali", svolge attività di divulgazione teatrale e di tutoraggio per studenti con disabilità psicomotoria e sensoriale. In possesso del diploma di 1° Livello in LIS è anche esperta in Audiodescrizione

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